La maledizione della Dc

Niente da fare. Gli storici detrattori, che saltuariamente diventano curiosi adulatori - ma solo quando c’è qualche particolare ricorrenza o data storica da rievocare - ridiventano in breve tempo implacabili contestatori della esperienza storica, politica e di governo della Democrazia Cristiana e, soprattutto, di quasi tutta la sua classe dirigente. La potremmo definire una sorta di “damnatio memoriae”. Insomma, come è capitato anche in questi giorni dopo una intervista televisiva rilasciata dall’on. Rita Dalla Chiesa, peraltro molto corretta e comprensibilmente ancora carica di dolore e di sofferenza per il delitto mafioso in cui cadde il padre, il valoroso e coerente gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa, è ripartita la radicale contestazione alla Dc, a quello che ha rappresentato per quasi 50 anni nella storia democratica del nostro paese e, soprattutto, alla sua classa dirigente. Che, detto fra di noi, era ricca di statisti e di grandi e irripetibili leader politici.

Ma, al di là di questo triste episodio, quello che merita di essere rilevato ad oltre 30 anni dalla fine del “partito italiano” per eccellenza, è che gli incalliti e testardi detrattori non mollano la presa. Detrattori che, come tutti sanno, albergano tra le fila dell’universo della sinistra italiana nelle sue diverse e multiformi espressioni, nel pianeta populista e in tutti coloro che predicano e praticano il cosiddetto “politicamente corretto”, una vulgata trasversale che “piace alla gente che piace”. Vulgata che, sostanzialmente, dipinge la Dc come un “inciampo della storia”, un “partito di potere”, “senza un progetto politico” se non quello di conservare lo status quo e, soprattutto, un partito che attraverso larghi settori della sua classe dirigente faceva più notizia nella cronaca nera che non in quella politica. Ora, è di tutta evidenza che è inutile rievocare periodicamente il magistero di Alcide De Gasperi, il martirio di Aldo Moro, l’attivismo organizzativistico di Amintore Fanfani e via elencando e poi continuare a sentenziare un giudizio tombale sull’intera esperienza politica e di governo della Democrazia Cristiana. Perché delle due l’una. E cioè, o la Dc è stata un partito che ha contribuito in modo decisivo a ricostruire e, soprattutto, a guidare l’Italia per quasi 50 anni con un progetto politico ben definito, una visione della società altrettanto chiara e una classe dirigente autorevole, qualificata e riconosciuta a livello europeo ed internazionale, oppure - appunto - è stata solo un “inciampo della storia”, collusa con i poteri criminali e con una pratica di governo che si è limitata ad essere solo e soltanto un puro, grigio ed incolore esercizio di potere.

Ecco perché, al di là del solito circo giornalistico, televisivo, accademico e storiografico, forse è giunto anche il momento per ristabilire un minimo di verità storica. Certo, non è facile farlo in un contesto politico e culturale dove la memoria storica è bandita quasi alla radice e tutto si gioca sul “presentismo”. Ed è oltremodo difficile replicare ad accuse tanto volgari quanto infamanti nel momento in cui anche la mia area politica - ovvero l’area cattolico democratica, popolare e sociale - è ancora troppo rassegnata e servile nei confronti dei vari azionisti di maggioranza a livello politico e culturale. Eppure non si può non battere un colpo. Perché in discussione, tra l’altro, non c’è solo una lettura corretta e non blasfema della storia della Dc ma, soprattutto, c’è il ruolo, la funzione, la prospettiva e la mission dei cattolici impegnati in politica oggi e domani. Perché, alla fine, la continua demolizione della Dc rientra anche nel progetto di ridicolizzare la presenza politica dei cattolici italiani.

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