Tutti giù per terra
Juri Bossuto 07:00 Giovedì 17 Ottobre 2024
I cosmonauti, dallo spazio, osservano un pianeta azzurro e verde privo di qualsiasi linea di demarcazione tra uno Stato e l’altro. I confini politici spariscono anche guardando il suolo da un aereo: nella fase di atterraggio, scendendo di quota, si vedono solo case e persone intente a vivere la loro esistenza quotidiana. Tutte le barriere che dividono il pianeta sono fatte dagli esseri umani tracciando linee su una mappa geografica, oppure, peggio, costruendo muri invalicabili per separare un popolo dall’altro.
Le guerre e i confini sono frutto delle decisioni di gruppi ristretti di persone. Raramente costoro vanno al fronte con il fucile in mano e i piedi nel fango, poiché preferiscono mandare sui campi di battaglia quegli stessi cittadini che invece dovrebbero proteggere e tutelare (i loro elettori). Religione e differenze etniche sono gli alibi preferiti da chiunque scateni la violenza bellica per ottenere preziose materie prime: per mettere le mani su enormi ricchezze senza dover risarcire i legittimi proprietari.
Nei secoli scorsi era il sovrano ad allestire eserciti da mandare ad espugnare i castelli. Il popolo, all’epoca, non aveva scelta, e alla chiamata alle armi voluta dal signorotto, il quale possedeva il feudo e i contadini stessi, i devoti sudditi lasciavano la vanga per impugnare la lancia e andare al massacro. Meccanismo che ha ancora caratterizzato sia la grande guerra, dove vennero inviati milioni di uomini a morire nelle trincee alpine, che la Seconda guerra mondiale.
Oggi, invece, si ricorre soprattutto alla tecnologia, al dominio dei cieli e ad eserciti composti principalmente da volontari, o da mercenari. Combattere, uccidere, è una professione a tutti gli effetti, ma le bombe continuano comunque a cadere sulle abitazioni, sugli ospedali e sulle scuole. Una nazione che entra in guerra, pur senza dichiararla (a dispetto delle orme di diritto bellico internazionale), espone i suoi cittadini, (non più definiti sudditi) a devastazioni e stragi. Lo Stato moderno, in sintesi, cura, istruisce i suoi figli per poi esporli alle pallottole nemiche e consentire che il loro corpo venga straziato nel nome degli interessi nazionali.
Gli scenari bellici attuali non conseguono a moti rivoluzionari, non chiedono il sacrificio nel nome di una causa, ma affondano le loro radici nei giochi interessati di potenti lobby: cinici manovratori che decidono di aprire il fuoco, mentre milioni di persone ne subiscono le conseguenze. L’immagine di soldati che cadono colpiti a morte e quella di abitazioni sventrate da micidiali bombardamenti sono apparentemente inconciliabili con società generalmente rette dal sistema consumistico (nasco-consumo-muoio), nonché da corpose norme che tutelano la sicurezza dei lavoratori, dei consumatori e dei minori.
Due conflitti mondiali hanno sottratto decenni di vita a molte generazioni, e macchiato di sangue le strade di tutta l’Europa (e non solo) inducendo i parlamenti postbellici a elaborare leggi costituzionali che ripudiano la guerra per dirimere questioni internazionali. Le Costituzioni varate nel Vecchio Continente, a metà del secolo scorso, hanno rappresentato una gigantesca svolta nei rapporti tra governati e governatori, estendendo i diritti fondamentali dei primi e limitando il potere dei secondi.
È quindi un ossimoro lo scenario, prospettato da gran parte della politica europea, che punta ad armare centinaia di migliaia di giovani cittadini per prepararsi alla guerra. La guerra è infatti la negazione dei diritti civili: l’inconciliabilità tra vivere la propria esistenza da cittadino e dover invece marciare tra i ruderi di edifici, in cerca del nemico da sterminare, indossando l’uniforme da soldato.
Molti tabù sono caduti in questi ultimi anni, grazie a un sistema mediatico che sta abituando tutti noi alla parola “Guerra”. Un martellamento continuo, principalmente attuato dal sistema televisivo, orientato a far credere addirittura che l’uso della bomba nucleare non sia da escludere per forza. Secondo i media governativi, i fattori di rischio per la popolazione, nel caso di conflitto atomico, sarebbero irrisori e quindi compatibili con il lancio delle testate nucleari necessarie per raggiungere la vittoria: rassicuranti dottor Stranamore sono impazienti, pronti a dare il via all’Apocalisse tra gli applausi dei telespettatori.
Tutti i popoli discendono da una manciata di Sapiens che abitavano la Terra centinaia di migliaia di anni fa, una fratellanza negata da chi esercita il proprio potere sul mondo. Eppure, un numero crescente di militari abbandona le armi e diserta (come accadeva nelle trincee delle Alpi nel 1915-18); schiere di giovani si sottraggono alla chiamata della leva obbligatoria nelle zone di guerra. Carta stampata e TV, parte attiva della grande manipolazione collettiva necessaria per legittimare i conflitti armati, riportano con enfasi il numero di caduti tra i ranghi nemici, ma dimenticano di offrire al loro pubblico anche il numero di coloro che scelgono, da ambo le parti, di gettare le armi a terra rifiutandosi di sparare a un proprio simile.
Le guerre fanno girare i soldi e aiutano l’economia, il mercato: denaro e potere richiedono periodicamente contributi di sacrifici umani per uscire da feroci crisi produttive. Oggi le bombe cadono sui bambini di Gaza facendone strage e sembrano lontane, ma non esiste sensazione più falsa poiché la nostra indifferenza ci rende complici.