Chi votano i ceti popolari?

Se c’è un aspetto che incuriosisce nel risultato americano è il voto dei cosiddetti ceti popolari. Certo, si tratta di una nazione, quella americana, straordinariamente grande e quindi leggere il voto non è un’operazione che si presta a giudizi eccessivamente affrettati. Ma è indubbio che, almeno così ci hanno detto dopo il voto gli analisti e i sondaggisti che avevano sballato grossolanamente tutte le previsioni, la stragrande maggioranza dei cosiddetti “ceti popolari” ha scelto Trump. Cioè ha respinto l’offerta della sinistra, ovvero del Partito democratico. E quindi sono stati smentiti non solo i sondaggisti ma sono stati rinnegati gli appelli di quasi tutto il circo mediatico fatto di artisti, cantanti, attori, sportivi, guru dell’informazione, personalità di successo e predicatori vari. Ovviamente tutti miliardari, come del resto lo è lo stesso Trump. Un elemento, questo, che ha evidenziato in modo plastico la perdurante incapacità della sinistra americana di saper intercettare i bisogni, le istanze e le domande proprio di quei ceti popolari che si vantava di rappresentare nella propaganda elettorale.

Ora, è decisamente difficile tracciare un confronto tra le elezioni americane e quelle che si svolgono nel nostro paese o negli altri paesi europei, anche perché ogni paese fa storia a sé. Ma ci sono, comunque sia, delle costanti che non si possono facilmente rimuovere. E, su questo versante, c’è un elemento, forse marginale ma sino ad un certo punto, che non possiamo non richiamare. E riguarda, appunto, il cosiddetto voto popolare, o dei ceti meno istruiti o meno scolarizzati e sicuramente meno vezzeggiati dai media che in America hanno scelto, invece, massicciamente Trump. E che, guarda caso, già non votarono Hillary Clinton contro lo stesso Trump. “Spazzatura” il termine usato recentemente da Biden rivolgendosi a chi votava Trump e lo stesso giudizio venne espresso più o meno dalla stessa Clinton quando lo sfidò alcuni anni fa.

Insomma, si può dire tranquillamente, e senza alcuna polemica specifica o pregiudiziale, che c’è una sorta di disprezzo congenito della sinistra americana – e anche e soprattutto di quella italiana e di altri paesi europei – nei confronti di un elettorato ritenuto non all’altezza per scegliere un candidato, un partito, uno schieramento o un progetto politico e di governo. E questo è un tema che puntualmente fa saltare i sondaggi – di norma sempre compiacenti – e che evidenzia l’incapacità strutturale di chi pensa di rappresentare organicamente e fideisticamente i ceti popolari, i meno abbienti e gli ultimi e poi si accorge, dopo il voto, che questo non è accaduto. E il voto americano di questi giorni lo ha evidenziato, e per l’ennesima volta, in modo persin plateale. Un vezzo che trova piena cittadinanza anche nel nostro paese. E non solo. A conferma che non si può mai confondere il consenso reale e popolare con la vulgata del “politicamente corretto”, la moda dei messaggi e delle dichiarazioni degli attori, dei conduttori televisivi milionari, degli opinionisti a gettone, dei cantanti e degli artisti alto borghesi, della rete culturale forte e convinta della propria superiorità morale e politica, dei maître a penser eternamente arroganti e presuntuosi. Insomma, per capirci, quel circo mediatico, politico, culturale, giornalistico, accademico e televisivo che storicamente individua nella sinistra salottiera, aristocratica ed alto borghese l’unica classe dirigente titolata a governare. Il resto, appunto, è solo “spazzatura”. E anche nel nostro Paese questa è una costante politica, ed elettorale, che è partita con l’esperienza cinquantennale della Democrazia Cristiana e che si spinge sino ai giorni nostri.

Ecco perché, al di là delle ricadute concrete che la vittoria di Trump avrà sul nostro Paese e nell’intera Europa, forse è arrivato anche il momento affinché la sinistra salottiera, aristocratica e alto borghese si ponga una semplice domanda: ma per chi votano i ceti popolari?

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