RETROSCENA

Manfredi dall'Anci alla Campania.
Il piano anti-De Luca di Schlein 

Dietro la scelta del sindaco di Napoli per la guida dei Comuni ci sarebbe anche la sua candidatura a governatore. Meloni aveva subodorato la "trappola". Uno scenario che vedrebbe il torinese Lo Russo tornare in pista ottenendo ciò che gli è appena sfuggito

Giorgia Meloni dev’essere apparso in sogno il Divo Giulio con il suo “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca” quando, per voce di Maurizio Gasparri e altri, dai vertici del centrodestra s’era mandato un messaggio chiaro a Elly Schlein: se volete il nostro placet su Gaetano Manfredi alla presidenza dell’Anci, assumete voi e lui un solenne impegno sul fatto che il sindaco di Napoli non si candiderà alla presidenza della Regione Campania. Quella richiesta di impegno non ha mai ricevuto risposta. Ciò, ovviamente, non significa che l’inquilino di Palazzo San Giacomo abbia deciso di scendere in campo per la Regione (anzi, avrebbe manifestato molte perplessità) ma l’eventualità è tutt’altro che esclusa.

Un silenzio che oggi, con l’ex rettore della Federico II insediato al vertice della potente associazione dei Comuni italiani e attorniato da una pletora di vice, ben tredici, rimbomba ancor più sinistramente a destra. E spiega un verosimile retroscena della scelta caduta su Manfredi, il percorso e le ragioni se non esclusive, certo concorrenti che hanno portato a “sacrificare” il primo cittadino di Torino Stefano Lo Russo e saltare a piè pari la regola non scritta dell’alternanza tra Nord e Sud.

Lo Russo, peraltro, non a caso era il candidato preferito dalla premier che aveva mandato in avanscoperta pure l’ex cognato-ministro Francesco Lollobrigida. Sarebbe piaciuto e non ne ha fatto mistero con quello che si è puntualmente rivelato involontario bacio della morte al segretario di Forza Italia Antonio Tajani. Tutti uniti da identico probabile temuto destino: vedere il presidente dell’Anci molleggiare sul potente trampolino dell’associazione dei Comuni per spiccare il volo verso il posto occupato e difeso coltello tra i denti da Enzo De Luca, rovo nel fianco di Schlein.

Proprio l’ex sindaco di Salerno, con la sua granitica determinazione di ricandidarsi a dispetto dei santi e pure del Nazareno, è per la segretaria dem e il suo stato maggiore un problema non superabile con sorrisi e supercazzole come fino ad ora ha fatto in pubblico e, probabilmente, non smetterà di fare. Nelle segrete stanze i ragionamenti sono ben diversi. La necessità di una candidatura forte è resa, per il Pd, ancor più indispensabile proprio per il fattore De Luca. E quella di Manfredi, pur se non proprio brillante appare il consenso della sua sindacatura, lo è e lo sarebbe ancor più grazie alla visibilità e all’autorevolezza mediatica che, come ben sanno i suoi predecessori, il pulpito di Anci non manca mai di fornire. Inoltre, essere la controparte del governo di centrodestra su partite aperte importanti tra potere centrale ed enti locali gioverebbe non poco. Un piano a cui starebbero lavorando i due luogotenenti schleiniani in terra partenopea: il deputato Leonardo Impegno ma soprattutto Marco Sarracino, parlamentare campano e responsabile Sud in segreteria nazionale.

A questo, nei ragionamenti ai piani alti del Pd, si unisce anche la non nascosta aspettativa di un possibile prolungamento delle legislature regionali, spingendo il voto dall’autunno 2025 alla primavera dell’anno successivo. Tempo in più che alla Schlein verrebbe oltremodo comodo per provare a disinnescare la mina De Luca, avendo già pronto il candidato con cui vista la passata esperienza da ministro nel governo giallorosso Conte 2, potrebbe riprovare ad allargare il campo forte delle vittorie in Emilia-Romagna, in Umbria e prima ancora in Sardegna.

In questo scenario, pur tra molte variabili e altrettante incognite, la discesa in campo di Manfredi contemplerebbe naturalmente le sue dimissioni da Anci, com’è stato per Antonio Decaro candidato e poi eletto on Europa. A quel punto quella che pareva una sconfitta, pur senza battaglia dichiarata e con tutti gli onori delle armi, per Lo Russo si rivelerebbe soltanto una permanenza in panchina nell’attesa di sostituire il capitano. Il sindaco di Torino è tra i tredici vice, sebbene non il vicario (che per prassi spetta al fronte politico avversario), e quel gradino potrebbe salirlo con il piglio e l’ampio sostegno che non sono mancati prima che il suo partito decidesse non per lui, ma per il suo collega partenopeo. E prima che lo stesso Lo Russo decidesse di sottarsi dalla contesa, ancor prima di averla ingaggiata, facendo arrabbiare alcuni supporter, dal sindaco di Milano Beppe Sala a Graziano Delrio, figura di riferimento dell’area riformista dem nonché in passato presidente di Anci.

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