RETROSCENA

Se i Fratelli piemontesi tifano Zaia. Risiko centrodestra per le Regioni 

Meloni punta a scalzare la Lega nel Nord-Est impedendo il quarto mandato al Doge e candidando uno dei suoi. Ma nel gioco dei pesi e contrappesi il Veneto a FdI aprirebbe il Piemonte al Carroccio che qui tifa per un meloniano a Palazzo Balbi

Difficile intravvedere per il centrodestra una partita complicata, non tanto per l’esito quanto per la sua preparazione tra schemi e variabili, come quella che si annuncia per le future elezioni regionali in Veneto. A ulteriore conferma di quanto il percorso sia costellato da incognite, a partire dal via libera o meno al terzo (che in realtà sarebbe il quarto) mandato per Luca Zaia, ma non di meno da scenari legati a possibili effetti collaterali che valicano i confini della “Repubblica del Nord-Est” guidata da ben 14 anni dal Doge, c’è un’immagine a prima vista paradossale. 

È quella delle tifoserie dei due partiti contendenti all’interno del centrodestra, Lega e Fratelli d’Italia che giocando in casa ovviamente sostengono i rispettivi papabili al trono del Doge, ma spostandosi ad Ovest, precisamente in Piemonte assumono, pur negandolo fino alla morte, una postura esattamente contraria. La spiegazione è più semplice della descrizione: nel caso in cui Giorgia Meloni riuscisse nel proposito di strappare alla Lega la candidatura a governatore del Veneto, in un gioco dove le date contano e vengono osservate con attenzione per il suo partito risulterebbe estremamente difficile, diciamo impossibile opzionare anche l’altrettanta importante poltrona su cui oggi siede, per il secondo giro, Alberto Cirio

Se una cessione della terra in cui è nata la Liga e la sua declinazione estensiva continua ad avere un potente fortilizio, per la Lega e il suo segretario Matteo Salvini sarebbe un boccone amaro ma non rifiutabile al cospetto della premier, il minimo sindacale come contropartita non potrebbe che essere proprio la guida del Piemonte. Ecco perché qui i Fratelli sperano e magari un po’ lavorano perché a Palazzo Balbi resti Zaia o, comunque sia candidato un leghista e, per contro, proprio i leghisti piemontesi diciamo che non si sbracciano affatto per avere ancora il Doge a guidare il Veneto, tantomeno un suo epigono.

Uno scenario a prima evidenza paradossale, ma in realtà figlio della più pragmatica realpolitik in salsa regionale, che già si prospetta essendo sempre più evidente l’intenzione della Meloni e del suo partito di andare in fretta ben oltre le sole tre Regioni in cui esprime un presidente – Lazio con Francesco RoccaAbruzzo con Marco Marsilio e Marche con Francesco Acquaroli – ma anche andare, per la prima volta al di sopra della linea gotica, piantando il fraterno vessillo in una terra dove la storica predominanza democristiana, il Veneto bianco come si diceva un tempo, lasciò il testimone al vento autonomista che non ha mai cessato di soffiare nelle vele del carroccio.

Per tradurre questo suo disegno la premier metterà lei stessa e qualunque cosa serva di traverso a un ulteriore candidatura di Zaia, ben consapevole lei che poco o nulla potrebbe chiunque altro contro di lui. Alla premier i papabili non mancano, incominciando da Elena Donazzan, votatissima alle europee, al coordinatore regionale di FdI Luca De Carlo, al ministro Adolfo Urso. Da parte sua Salvini non potrà che far di tutto per difendere il suo presidente e, se costretto a cedere di fronte al niet all’ulteriore mandato per Zaia, almeno rivendicare la continuità leghista alla guida della Regione. Come finirà è, oggi, una delle mille incognite.

Nel frattempo i movimenti all’interno del centrodestra, in particolare tra il primo partito e quello che quel primato lo ha perso, si accentuano non senza quelle apparenti contraddizioni cui si faceva cenno a proposito del Piemonte. Dove si guarda con altrettanta attenzione alla non remota possibilità di spostare in avanti, alla primavera del 2026 il voto per il Veneto e altre Regioni in scadenza. Il perché è facilmente spiegato dall’avvicinamento al voto politico con la sua scadenza naturale nel 2027. Un appuntamento che più rumors, da tempo, indica come segnato da Cirio nella sua agenda. Un governatore pronto a cogliere l’aprirsi della prima finestra utile verso Montecitorio o Palazzo Madama, non può che accentuare la sensibilità dei Fratelli così come dei leghisti rispetto all’effetto che avrebbe una scelta o l’altra per il candidato in Veneto. Quanto a Forza Italia, dopo Cirio non si vede un erede, tantomeno è lo stesso attuale governatore a volerne neppure scorgere l'ombra, après moi, le déluge o qualcosa che si assomiglia. 

Pochi, ormai, i dubbi sul fatto che se la Lega mantenesse il Veneto sarebbe il Piemonte la prima Regione nella lista della leader di FdI e, dunque, se la successione a Cirio dovesse spettare ai meloniani toccherebbe alla sua attuale vice, Elena Chiorino a scendere in campo, peraltro con l’esperienza della scorsa legislatura e la presenza sempre più marcata al fianco del governatore in questo suo secondo mandato in giunta. Al contrario, nel caso in cui la Meloni riuscisse a spuntarla piazzando uno o una dei suoi in Veneto, a quel punto la Lega non potrebbe non alzare le barricate a difesa di una candidatura alla guida del Piemonte, mettendo pure sul tavolo la questione nordista rafforzata dall’impossibilità per Attilio Fontana di ricandidarsi nel 2028 al governo della Lombardia.

Il partito di Salvini, nel Piemonte in mano al segretario nonché capogruppo a Montecitorio Riccardo Molinari, il candidato ce l’ha pronto e non da oggi. Alessandro Canelli, sindaco di Novara al suo secondo mandato non potrà ripresentarsi nel 2026, quando tuttavia per lui sarebbe già pronto un posto nella giunta regionale, tenuto in caldo dal compagno di partito Matteo Marnati, non a caso nell’esecutivo di Cirio quale assessore esterno, a sua volta pronto per correre come candidato (a sindaco?) della città di San Gaudenzio. Sempreché pure lì, come probabile, i Fratelli non vogliano piazzare uno dei loro. 

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