SACRO & PROFANO

Preti a scavalco, parrocchie accorpate. Tocca ai laici "celebrare" la Messa

Procede a tappe forzate anche in Piemonte la riorganizzazione: un parroco volante "chiamato a coordinare una rete di ministerialità laicali e diaconali". Una sconfitta spacciata come sfida. La contestata "innovazione" nella diocesi di Biella

La notizia è ormai di dominio pubblico anche senza i crismi dell’ufficialità di un comunicato curiale perché questo è ormai il metodo in tempi di sinodalità: far circolare ai livelli più bassi quanto in alto loco è già stato deciso da tempo e  mettere così le comunità di fronte al fatto compiuto, magari con un faceto avviso del missus dominicus don Mario Aversano che ha come suo unico compito in diocesi quello di indorare e far trangugiare amare pillole ai malcapitati, siano essi preti o fedeli. Dal mese di settembre del 2025 saranno unite in una, guidate da un solo pastore, le parrocchie di Mathi, Grosso, Nole e Villanova suscitando, naturalmente, lo scontento dei fedeli, subito rubricati come “indietristi”. Il nome del nuovo parroco non è stato comunicato, forse si è ancora alla ricerca delle spalle obbedienti su cui caricare il pesante basto.

La decisione rientra in quell’operazione di drastica riduzione delle parrocchie della diocesi che, nel linguaggio clericale, assume il nome di «ripensamento della presenza cristiana sul territorio» e che viene di solito annunciata non come una sconfitta ma come un lieto evento. Anzi, una sfida. Quindi «non più un prete per ogni parrocchia, ma presbiteri chiamati a coordinare una rete di ministerialità laicali e diaconali maggiormente coinvolti nella cura relazionale del territorio, assumendo compiti che un tempo spettavano esclusivamente ai parroci». Di fronte a questa prosa che prefigura qualcosa di nuovo, seppure oscuro, il fedele medio – salvo che non sia un cattolico “adulto” – non potendo altro si consola e si adegua. Come andrà a finire è già scritto e non occorre andare lontano per saperlo, basta superare le Alpi e recarsi in Francia dove questi «ripensamenti» furono messi in atto quasi trent’anni fa e con un unico risultato: la desertificazione. Dopo le parrocchie si passò infatti all’accorpamento delle diocesi, le quali erano già state ridotte di numero, e dove quest’anno il 60% di esse non avrà alcuna ordinazione.

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A Biella, intanto, a don Mario Foglia Parrucin già parroco di Vallemosso, Crocemosso e Campore Falcero, sono state affidate anche le comunità di Veglio, Camadona e Callabiana. Questo è quanto comunicato ai fedeli dal vicario generale, don Paolo Boffa Sandalina che, insieme ad altri del gruppo di comando, è il vero dominus della diocesi e che per il suo attivismo – ricopre infatti circa altri dieci incarichi – appare lanciato sulla piattaforma di lancio per l’episcopato. Come sempre, in tutte le questioni importanti, salvo i suoi pistolotti devoti, il vescovo monsignor Roberto Farinella, stretto fra il gruppo di comando, le attive suocere del suo predecessore Gabriele Mana e del liturgista monsignor Alceste Catella, appare come “non pervenuto”.

Dicevamo di don Foglia. Questi è un grande sperimentatore liturgico e mesi fa, in un volantino, aveva già manifestato l’intenzione di fare quello che oggi ha attuato. Con il premesso ad experimentum del “non pervenuto” vescovo Farinella, ha introdotto nei riti alcune innovazioni, tra cui la più eclatante quella per cui lui, il celebrante, sta con i fedeli vestito in borghese insieme agli altri, mentre a “celebrare” l’intera Messa sono i laici o meglio un gruppo di questi, indottrinati dal medesimo. Questa bella trovata lo stesso don Foglia l’aveva già illustrata, durante un convegno del clero biellese a Spotorno, al massimo liturgo del Piemonte, l’inclito don Paolo Tomatis il quale – ed è tutto dire – aveva espresso non poche perplessità.

L’ardita innovazione aveva suscitato la protesta dei soliti “indietristi” ai quali non bastava il consenso del “non pervenuto” Farinella ma chiesero lumi più in lato e cioè al biellese più illustre presente in Vaticano nel posto più giusto per dirimere la questione, il lacrimevole monsignor Vittorio Viola, segretario del dicastero del Culto divino e massimo oppositore e persecutore della Messa Antica il quale, naturalmente, ha rinviato tutto al “non pervenuto”. Ma sulla diocesi di Biella e sul pittoresco clan che la governa dovremo ancora tornare.

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A fronte di questa situazione preagonica, che non riguarda solo il Piemonte ma l’Italia intera, suonano stonate se non insensate le note ottimistiche che il vicepresidente della Cei – grande sponsor di Roberto Repole alla cattedra di San Massimo – l’arcivescovo di Modena monsignor Erio Castellucci, in quanto presidente del cammino sinodale ha svolto in occasione della prima assemblea delle Chiese in Italia, con la quale ha preso il via la «fase profetica» del processo sinodale. Interessanti sono le sue riflessioni da Alice nel paese delle meraviglie sulla divisione dei cattolici in politica: «Schierati spesso su fronti contrapposti, dove il rispetto per la vita fragile divide però coloro che si impegnano per l’accoglienza dei migranti e viceversa, coloro che sostengono la famiglia e coloro che si occupano del creato e viceversa e denota un senso di appartenenza partitica più forte del senso di appartenenza ecclesiale». Il vicepresidente della Cei sa bene però che furono proprio i vescovi ad abbandonare a se stessi i cattolici impegnati da sempre contro l’aborto e per la vita e a non dare seguito, nella pastorale, alla preminenza dei «principi non negoziabili», proclamati da Benedetto XVI, con la conseguente preferenza accordata ai temi – pure non trascurabili – dell’accoglienza dei migranti. Adesso appare molto ipocrita e non credibile lamentarsi e attribuire la colpa della divisione dei cattolici su due fronti contrapposti ai politici e non a una precisa scelta dei vescovi, non solo per la verità quelli italiani.

 

Dalla corte di Santa Marta

La prudenza diplomatica o comunque la sua proverbiale terzietà che era quella di favorire tutte le condizioni affinché le parti si parlassero, non è più il tratto distintivo della Santa Sede. Dopo la richiesta di indagare se a Gaza Israele non sia responsabile di un genocidio, il papa ha reso noto che la creazione cardinalizia del vescovo di Teheran rappresenta una «onorificenza per tutto il paese», significando inoltre come non è vero affatto che al Vaticano sia inviso il governo degli ayatollah: «La Chiesa non è contro il governo, no, queste sono bugie!». Al di là della disinvoltura sull’uso di certe parole, occorre rilevare una certa propensione di Bergoglio per i governi autoritari, in particolare quelli di sinistra. In Nicaragua, il dittatore sandinista José Ortega y Gasset ha fatto arrestare ed esiliare due vescovi, mentre il presidente della conferenza episcopale è stato accompagnato alla frontiera in quanto responsabile di aver avanzato qualche critica al governo. Non solo. Preti torturati, bastonature al cardinale arcivescovo di Managua ed espulsione dal paese del vescovo Rolando José Álvarez, condannato a 26 anni di galera e poi spedito in Vaticano con la consegna di non aprire mai più bocca. Interpellato in areo sui brogli elettorali del dittatore venezuelano Nicolás Maduro e sul suo regime oppressivo, il papa ha detto di non avere al riguardo nessuna opinione. Pur di realizzare, a qualsiasi costo, un’intesa con Pechino non una parola è stata mai pronunciata di fronte alla repressione ordinata da Xi Jinping a Hong Kong, neanche quando finiva in carcere il novantenne cardinale Joseph Zen che aveva denunciato le violenze. Recatosi a Roma, il papa non ha voluto ricevere il porporato. In Segreteria di stato sono allibiti, ma nessuno fiata per paura di irritare la corrusca corte di Santa Marta.

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