RISIKO BANCARIO

Ops, Messina boccia Salvini (e Giorgetti): "Non è in gioco la sicurezza nazionale"

Il Ceo di Intesa Sanpaolo si chiama fuori dalla partita Unicredit-Bpm: "Non siamo i cavalieri bianchi, l'operazione ha ragioni industriali ed è simile a quella che facemmo noi con Ubi". E a decidere sono gli azionisti e l'autorità di vigilanza (Bce)

Intesa Sanpaolo non entra nella contesa tra Unicredit e Banco Bpm ma soprattutto si tiene lontano quanto più possibile dalla bagarre politica scatenata dall’Ops lanciata da piazza Gae Aulenti sull’istituto di piazza Meda. Il ceo Carlo Messina esclude un intervento di Ca’ de Sass, men che meno sotto le spoglie del “cavaliere bianco” chiamato a difendere piani di presunta “italianità” nel risiko bancario. “Noi siamo bianchi perché siamo perbene, ma sicuramente non siamo cavalieri in queste operazioni per un motivo molto semplice: abbiamo una quota di mercato talmente elevata che non possiamo fare nessuna operazione in Italia”, ha spiegato il top manager romano rispondendo ai cronisti a margine di un incontro nella sede della banca a Torino. “Quindi a prescindere dal fatto che non lo vogliamo fare non lo potremmo fare” ha aggiunto.

In Italia “ormai è partito un percorso che porterà a integrazioni successive”, osserva Messina. In merito ai timori occupazionali di Bpm ritiene che “sia molto importante il ruolo che può svolgere il sindacato, qualunque sia l’esito di questa operazione o di altre che arriveranno, perché ormai è partito un percorso che porterà a delle integrazioni successive”.

Nel merito “l’operazione, industrialmente, è molto simile a quello che noi facemmo con Ubi. Quindi, è un’operazione che industrialmente ha un suo significato. Per quanto riguarda noi, francamente, abbiamo una posizione per cui siamo l’istituzione chiave del paese qualunque cosa succeda alle altre banche”. Una cosa è certa, al numero uno di Intesa devono essere apparse perlomeno scomposte e persino surreali certe reazioni politiche: “Credo che il pallino di queste operazioni debba essere dal punto di vista della supervisione nelle mani della Bce e dal punto delle decisioni nelle mani degli azionisti, poi è chiaro che se ci sono temi di sicurezza nazionale interviene il governo. In questa operazione che ci siano elementi di sicurezza nazionale, per le conoscenze che io, mi sembra difficile poterlo argomentare”. Una risposta indiretta agli allarmi sconclusionati lanciati dal vicepremier Matteo Salvini ma soprattutto all’uso del golden power paventato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.

Stesso criterio, a detta di Messina, deve guidare l’ipotizzato ingresso di Cdp in Generali: “Gli ingressi di operatori pubblici nelle società private devono essere giustificate da una esigenza di sicurezza nazionale, altrimenti non ne capisco la ragione. Se è solo per intervenire in partite finanziarie per definire chi comanda nei diversi contesti ci sono tanti investimenti in infrastrutture che possono fare crescere il Paese più importanti. Se invece c’è un tema di sicurezza nazionale, e hanno informazione che ci possa essere un rischio, allora ben vengano. In questo paese vanno tutelati gli asset strategici ma in una visione di sicurezza generale. Cdp deve avere una visione, che peraltro ha ed è sicuramente ben gestita, di motore e sostegno all’attività produttiva del Paese”. A Palazzo Chigi e via CC Settembre fischiano le orecchie e ballano gli otoliti.

print_icon