Una rivolta educata
Juri Bossuto 07:00 Giovedì 05 Dicembre 2024
Lo sciopero generale, indetto venerdì 29 novembre scorso, ha fatto scendere in piazza migliaia di persone. Il corteo di Torino ha percorso le centralissime vie Cernaia e Pietro Micca, terminando in un’affollata piazza Castello.
Lungo il tragitto hanno sfilato, per circa tre ore, operai, lavoratori precari, pensionati e studenti: un lunghissimo serpentone di persone che si è rivelato essere addirittura più imponente di quello che attraversa Torino il Primo Maggio. Mobilitazione importante, quindi, seppur ostacolata dal Vice Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale ha scelto di precettare i lavoratori dei trasporti affermando di voler, in tal modo, tutelare i cittadini (classico esempio di politica del dividi et impera).
La protesta è stata pacifica, a tratti resa ironica dagli slogan antigovernativi nonché dalle maschere allegoriche, con qualche momento di tensione solamente a Porta Nuova, dove si è assistito a un tentativo degli studenti di occupare i binari della stazione di Torino. Eppure, malgrado i numeri, il dibattito politico ha disconosciuto l’importanza dei cortei che si sono svolti in tutto il Paese, riducendo lo sciopero generale a una fitta polemica nei confronti del leader della Cgil, Landini.
I Ministri, soprattutto il Vicepremier, hanno voluto ridicolizzare la giornata di mobilitazione del 29 novembre, raffigurandola come una banale espressione di invidia sociale che ha coinvolto, a malapena, l’uno per cento degli italiani (percentuale in realtà tutt’altro che insignificante). Il Governo, inoltre, ha dato vita a un furioso attacco mediatico contro Landini stesso, accusandolo addirittura di voler sperare nel ritorno degli “Anni di piombo” (un’epoca segnata da numerosi atti terroristici “rossi” e “neri”, questi ultimi realizzati facendo stragi di persone sulle piazze e sui treni), a causa dell’auspicio che il sindacalista ha espresso a favore dell’avvio di una “rivolta” contro l’ingiustizia sociale in atto.
La risposta data dal potere politico ai tanti cittadini scesi in corteo è preoccupante. Nessun parlamentare di maggioranza, e tantomeno l’esecutivo, ha ritenuto doveroso affrontare i temi scanditi da coloro che hanno preso parte ai cortei, preferendo invece demonizzare la protesta. Il governo Draghi, seppur fautore di una linea politica iper liberista, dialogava con le forze sindacali, evitando accuratamente di sminuirne il ruolo: modello che la premier Meloni sembra non voler assolutamente imitare.
Il disastro economico che si è abbattuto sulle famiglie dei lavoratori, degli impiegati, degli operai, e soprattutto sui pensionati, è sotto gli occhi di tutti: dramma che non è possibile ignorare. Salari, stipendi e pensioni non aumentano di consistenza da lungo tempo, mentre l’inflazione è salita a pari passo con la speculazione che ha colpito, con inaudita forza, i beni essenziali e i servizi.
L’invito di Landini alla “rivolta sociale” era probabilmente da intendersi come un ritorno al conflitto sociale, ossia al confronto rivendicativo (anche acceso) tra cittadini e potere. In questi anni, effettivamente, ha regnato una sorta di pax sociale, dovuta anche all’incapacità dei partiti di essere un credibile riferimento per i ceti meno agiati, nonché dalla notevole distanza che sovente ha diviso le forze sindacali dalla faticosa quotidianità dei loro iscritti. Uno stato di fatto che ha generato la rassegnazione delle classi più deboli nei confronti delle innumerevoli scelte antipopolari attuate dagli ultimi governi del Paese.
Tornare, quindi, al conflitto sociale (manifestare per ottenere maggiore dignità) è atto quasi rivoluzionario, specialmente in tempi, come gli attuali: contrassegnati dal disinteresse verso la tutela dei propri diritti, nonché dalla negazione della solidarietà di classe. Venerdì scorso, infatti, non si è assistito a nulla che ricordasse, neanche vagamente, gli scontri di piazza scoppiati durante le manifestazioni francesi indette dai “Gilet gialli” (o quanto avvenuto a Seul in questi giorni); migliaia di persona hanno gridato il loro sdegno, verso l’ingiustizia sociale, affidandosi a slogan, cartelli, striscioni e a qualche maschera di gommapiuma. Lo stesso tentativo degli studenti di invadere Porta Nuova era ben lontano da essere rubricabile alla voce “duri scontri di piazza”.
Un Governo, a prescindere dalla parte politica che lo esprime, non dovrebbe mai ignorare (per non dire deridere) le istanze sociali, anche quando trovano nelle piazze la loro cassa di risonanza.
L’attuale presidente del Consiglio, in campagna elettorale, ha promesso il rispetto degli stessi diritti rivendicati da coloro che manifestavano durante lo sciopero generale. Le promesse hanno le gambe corte, come le bugie, ma questo non esenta chi governa dal dover mostrare almeno un po' di coerenza, e soprattutto attenzione, verso chi da anni spera di poter finalmente vivere senza dover scegliere, ogni giorno, tra la spesa e curarsi.