Il miracolo di Natale

Siamo oramai nel bel mezzo della pausa natalizia, in cui siamo arrivati sopravvivendo a cene sufficienti per risolvere il problema della fame nel mondo, ed emergendo da una valanga di auguri che, sfiorando a volte anche l’espressione poetica, auspicano “pace e serenità” a noi tutti.

Negozi scintillanti, insieme a un traffico al limite della congestione inestricabile, hanno accompagnato una Torino distratta verso il Natale e poi, giorno dopo giorno, al Capodanno. Turisti e cittadini si sono riversati nel centro storico: chi mosso dalla necessità di fare acquisti avvolti in luccicanti pacchi regali; chi invece per assaggiare un bicerin, oppure per gustare un menù tipico della tradizione culinaria piemontese. 

Svago, distrazione, fretta di consumare percorrendo il capoluogo subalpino come un luna park, hanno quindi anticipato il 25 Dicembre: mille passaggi da una giostra all’altra senza degnare di uno sguardo nessuno e, spesso, non notando neppure i monumenti eretti lungo il cammino. I selfie, riservati agli sfondi illuminati dalle arcate delle “Luci d’artista” (e al limite a qualche vetrina super griffata) sono la dimostrazione di una condivisione di momenti belli, seppur sprecati dall’esigenza incontenibile di documentarli con dovizia di particolari. 

Un passeggio da shopping che ormai riguarda anche la “turistica” via Po, oggi molto diversa da quella in cui gli studenti (sin dall’Ottocento) manifestavano il loro modo di vivere anticonformista ai borghesi. Le ricche famiglie torinesi la percorrevano provando sempre un po' di disagio, quasi camminassero in territorio ostile, mentre oggi i portici che sboccano in piazza Vittorio offrono souvenir per tutte le tasche e gusti.

Quadretto natalizio cittadino in cui purtroppo il grande assente è la comunità, quella vera, così come mancano all’appello i sentimenti solidali. La plastica ha sostituito tutto, pure la naturalezza dei rapporti umani, al pari dell’immagine che ha creato una classe politica europea affetta da narcisismo, anch’essa sintetica, e da un grande disinteresse verso tutto quello che non si può rubricare sotto la voce “Industria militare”.

Non passa giorno, infatti, in cui i media non descrivano qualche Paese membro dell’Unione Europea pronto ad armarsi, a costruire bunker, a chiamare nuove leve di soldati. Il nemico, questo è il linguaggio oramai usato comunemente, è geopoliticamente individuato alla perfezione (ha pure un nome) e pare questione di tempo per passare dalle parole ai fatti. La Svezia, in questa vigilia natalizia, cerca campi da trasformare in cimiteri destinati ai soldati caduti in guerra, mentre la Finlandia arma il suo lungo confine condiviso con la Russia. Venti di guerra alimentati dai leader nordeuropei e non percepiti dal proprio elettorato: nessuna popolazione sembra rendersi realmente conto dell’orlo del baratro su cui cammina; nessun popolo ha dato delega in bianco ai propri leader per iniziare una guerra.

Cinismo bellicista che attraversa l’Europa, che strazia i territori di Gaza e del Libano, che accerchia il popolo Curdo dopo aver sconvolto la Siria. Gli anni ’70 del musical Hair, di Peace and Love, della fine del conflitto in Vietnam sono relegati a un profondissimo passato storico: una distanza culturale e politica, da quel decennio, così ampia da ricordare quella che ha separato il Medioevo dalla Rivoluzione francese. 

Stragi, bombardamenti, guerra, la miseria delle nostre città e il disinteresse della politica verso ambiente e umanità rendono il segmento finale dell’anno un santuario dedicato al divertimento, che nulla ha da condividere con la festa della Pace, ossia con il Natale (così percepito e festeggiato pure dagli atei e dagli agnostici). Celebrazione di finta magia, e di reale consumismo, in cui fare auguri al prossimo diventa estremamente difficile, poiché, nel farlo, si rischia di essere catalogati come fantasiosi visionari.

La guerra alle porte e la fine del welfare in Europa occidentale richiedono un auspicio speciale per questo Natale e inizio anno nuovo. Un augurio che sia semplice, ma al contempo magico, qual è un appello al buon senso, a un ritorno del pensiero umanista globale: l’augurio di un vero miracolo di Natale.

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