Stellantis tra "sogni" e realtà, il 2025 sarà ancora più duro
Oscar Serra 07:00 Mercoledì 01 Gennaio 2025Il Piano Italia assicura fondi e investimenti, ma la ripresa non arriverà prima del 2026. A Mirafiori oltre duemila operai in cassa almeno fino ad agosto. L'auto è la punta dell'iceberg di un'industria che ha vissuto il suo annus orribilis. Dita incrociate su Ilva
Un nuovo anno “ricco di sogni” augura Fiat agli italiani, un claim che risuona quasi come una beffa in un paese che vede la sua azienda simbolo, ormai diventata colosso internazionale, sempre più distante, con fabbriche e investimenti lontani dalla sua culla. Nel video confezionato da Fiat risuonano le note di Sogna ragazzo sogna, cantata da Roberto Vecchioni (nella versione con Alfa), ma parafrasando Ligabue è una vita “tra sogno e realtà” quella che hanno vissuto finora gli operai e che continueranno a vivere per tutto il prossimo anno. A partire dalla fabbrica simbolo di quello che fu il miracolo italiano, Mirafiori, dove se va bene la nuova 500 ibrida debutterà a novembre e la maggior parte degli addetti rimarrà a casa almeno fino all’estate (per non parlare dell’indotto). La realtà è che il 2025 sarà il diciottesimo anno consecutivo di cassa integrazione, fa notare la Fiom. Pochi giorni fa l’ultimo annuncio del management ha dato i numeri di una crisi che durerà ancora a lungo e che prevede riposo forzato almeno fino ad agosto per duemila tute blu.
A livello nazionale il 2024 di Stellantis si chiuderà con un record negativo che non si vedeva dagli anni ‘50: meno di 500mila veicoli prodotti, di questi le auto sono sotto le 300mila unità. Tutti gli stabilimenti sono in negativo, ci sono oltre la metà dei lavoratori – 18mila su 33mila totali – che usufruiscono di ammortizzatori sociali e negli ultimi tre anni ci sono state 12mila uscite incentivate. Le vendite sono a picco: a novembre il gruppo ha venduto 30mila vetture, il 25% in meno dell’anno scorso; la quota di mercato è scivolata dal 29,3 al 24,7%. Una crisi nera, che colpisce soprattutto l’elettrico, intercettando una tendenza certamente europea (vedi la crisi di Volkswagen e il taglio annunciato di 35mila posti) che in Italia, però, pare avanzare con più decisione.
A tenere banco, nelle ultime settimane, è stata la discussione sul Fondo automotive, per il quale era stato inizialmente previsto, nella legge di bilancio, un taglio di 4,6 miliardi e sul quale il governo ha fatto una parziale marcia indietro. Nella manovra il Fondo viene infatti rifinanziato garantendo complessivamente 1,6 miliardi per il triennio 2025-2027. Per quest’anno, come spiegato dal ministro Adolfo Urso, verranno immediatamente impiegati 1,1 miliardi per contratti di sviluppo, mini contratti e accordi per l’innovazione. Gli altri 500 milioni rimangono svincolati, in attesa di capire come va il mercato.
E poi c’è il Piano Italia di Stellantis che per il 2025 ha in programma 2 miliardi di investimenti e un incremento di 6 miliardi di acquisti da fornitori che operano nel Paese. “Il Piano non prevede aiuti pubblici: tutti gli investimenti sono finanziati con risorse proprie” ha tenuto a precisare il numero uno del gruppo per l’Europa Jean-Philippe Imparato, ribadendo inoltre che tutti i siti produttivi rimarranno attivi con sette nuovi modelli a Melfi, le due compatte a Pomigliano, le nuove Alfa e il rilancio di Maserati. Nonostante questo impegno, però, “la produzione nel 2025 sarà più o meno come quella del 2024”, e quindi ci aspetta “un altro anno di Cig” ha ammesso il top manager al tavolo del Mimit. La vera ripartenza sarà, forse, nel 2026, “con un incremento della produzione del 50%”. Uno dei fattori di questo rilancio sarà proprio l’avvio dell’ibrido nello stabilimento di Mirafiori, che rimarrà “il cuore nevralgico dell’azienda”. Questa scelta produttiva porterà a “triplicare i volumi”: “Mi aspetto 100mila macchine in più l’anno con la Fiat ibrida a Mirafiori”è stata la promessa. I sogni dunque dovranno aspettare un altro anno. Per il 2025 ci teniamo la realtà.
NON SOLO STELLANTIS – Il 2024 è stato un anno nero per tutta l’industria metalmeccanica che nell’ultimo trimestre sfiora una flessione del 4% sull’anno. Le imprese soffrono, le crisi si acuiscono, la rabbia dei lavoratori cresce e riemerge nelle fabbriche lo spettro del conflitto. In tutto, i tavoli di crisi attivi al ministero delle Imprese e del Made in Italy sono 34 (in monitoraggio 26) ma solo tra Ilva e Stellantis - che ora iniziano a contendersi il titolo di “madre di tutte le vertenze” – si contano 12mila cassaintegrati. Complessivamente, le ore di cassa in tutto il comparto sono passate dalle 14.042.229 del 2023 alle attuali 19.467.052. E intanto, il rinnovo del contratto nazionale è ancora al palo, in attesa che, dopo gli scioperi proclamati da Fiom, Fim e Uilm di fronte al naufragio della prima trattativa con Federmeccanica e Assistal, si torni al tavolo del negoziato. A certificare lo stato di profonda debolezza dell’industria, è l’ultima indagine congiunturale di Federmeccanica: dalla metallurgia al -2% rispetto ai primi nove mesi del 2023, ai prodotti in metallo che perdono il 3,6%, fino al crollo tendenziale (quasi -20% sull’anno) di autoveicoli e rimorchi. Numeri che si specchiano plasticamente nei dati raccolti da un'indagine a cura della Fiom, con gli operai dell’automotive e della siderurgia al primo posto tra quelli coinvolti in ammortizzatori sociali: 20mila per l’auto (di cui 18mila in Stellantis) e oltre 8mila nell’acciaio.
EX ILVA – Cambiando fronte e passando all’acciaio, la telenovela dell’ex Ilva di Taranto (ma con uno stabilimento anche a Novi Ligure in Piemonte) si rinnova per un’altra stagione. La situazione è ancora congelata, in attesa dello scadere della deadline, slittata al 10 gennaio, per le offerte vincolanti da parte dei player interessati all’acquisto del gruppo, in amministrazione straordinaria da circa un anno (e in crisi da oltre dieci). Secondo il ministro Urso, i pretendenti sono una quindicina, tra cui tre big mondiali: Metinvest, Stelco, Vulcan Steel. Ma gli ucraini dell’Azovstal hanno appena investito due miliardi per il rilancio di Piombino, e non è escluso che, con la vittoria di Trump alla Casa Bianca e un cambio di rotta degli Usa nel sostegno militare a Kiev contro l’invasione Russa, possano trovarsi prima del previsto a dover gestire la fase della ricostruzione post-bellica in Ucraina. Uno scenario che quindi li collocherebbe fuori dai giochi, insieme agli americani che – secondo voci di corridoio – si sarebbero già sfilati dalla partita. Non resta quindi che puntare gli occhi sull'azienda-sorella di Jindal, a cui però pare si siano aggiunti, in corsa, anche gli azeri di Baku Steel. L'ipotesi spezzatino, cioè una vendita dei siti separati, è ancora sul tavolo, sempre avversata dai sindacati che continuano a invocare la presenza dello Stato nella compagine azionaria. Intanto lo stabilimento galleggia. In cigs ci sono quasi 3mila lavoratori, oltre 2mila soltanto a Taranto. Ci rimarranno sicuramente fino alla fine del 2025, in virtù di una specifica norma nell’ultima finanziaria che proroga per tutto il nuovo anno l’uso dell’ammortizzatore sociale. Dopodiché, il calo della cassa è legato alla ripartenza degli altiforni e al rilancio produttivo. Ma i livelli, nonostante l'iniezione di liquidità (da ultimo il prestito da 320 milioni) e la partenza dell'altoforno 1, sono rimasti quasi raso terra: la quota giornaliera viaggia sulle circa 9mila tonnellate al giorno, per un 'record' negativo di 2 milioni di tonnellate previste a fine anno.