FIANCO DESTR

Tutti fratelli di Giorgia (e Guido), ma in FdI affilano i coltelli

"Qui non ci sono correnti" intonano in coro i dirigenti. Però tra cordate e clan il partito è tutt'altro che un monolite. La fiamma divisa tra Delmastro e Montaruli, i moderati sotto l'ala di Crosetto. E poi ci sono i battitori più o meno liberi. Il caso Piemonte

Un partito monolitico dove tutto e tutti si muovono nel nome di Giorgia. “Niente correnti, qui non siamo il Pd, anzi siamo molto più coesi di quanto lascino intendere certi retroscena” dice un alto dirigente piemontese di Fratelli d'Italia. E proprio il Piemonte nella famiglia allargata di Meloni – tra fratelli (mogli e cugini adi vario grado) – è uno dei casi di studio per capire chi davvero comanda in quella galassia variegata di culture e storie politiche che spaziano dalla Dc al Movimento sociale. C’è addirittura chi arriva dalla sinistra, come il segretario regionale Fabrizio Comba, un tempo socialista, poi folgorato dal verbo berlusconiano e oggi nella famiglia allargata di FdI. Dal garofano alla fiamma tricolore, il passo è lungo ma c'è chi l'ha fatto. Caso raro ma non unico di un partito che da una parte apre le porte e allarga il proprio perimetro, mirando a trasformarsi in una forza conservatrice europea, dall’altra non rinuncia al sacro fuoco della fiamma avita e a quell’identità che accomuna buona parte della sua intendenza. Un equilibrio che regge finché a capo della piramide c’è Giorgia Meloni, nel nome e per conto della quale tutto si fa e tutto si disfa.

Lei è la fondatrice, assieme al ministro della Difesa Guido Crosetto, di un partito che in un decennio è passato dal 2 per cento del 2013 al 26% ottenuto alle politiche 2022, per poi arrampicarsi fino al 29% delle ultime europee. E più Fratelli d’Italia cresce più si stingone le antiche appartenenze. Ma torniamo alla domanda che ricorre sempre uguale: “Chi comanda in FdI?”. Se lo chiedono in tanti a partire da Alberto Cirio, visto che si parla di Piemonte, il quale ogni volta che c’è da affrontare un tema o ci sono delle nomine da fare non sa con chi parlare, o meglio è costretto a trattare con i vari capetti, ricevendo pressioni e indicazioni spesso contraddittorie.

Qui si scontrano due entità: l’area moderata che cerca riparo all’ombra del gigante di Marene e quella post aennina del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, biellese, ma con una sfera d’influenza su tutta la regione e con una rete di relazioni nazionale che lo pone ai confini dell’inner circle meloniano. Spregiudicato quanto famelico, se si parla di nomine pretende di essere interpellato e ascoltato. In due anni ha collezionato gaffe e inciampi ma da Palazzo Chigi lo hanno sempre difeso. Ha esordito rivelando a Giovanni Donzelli, suo coinquilino, segreti sul caso Cospito, è stato protagonista della “notte del fuoco” con il “deputato pistola” Emanuele Pozzolo, ha annunciato fiero che “non lasciamo respirare chi è nel blindato” in occasione della presentazione di un nuovo mezzo con incorporata cella detentiva. Ma nessuno gliene ha chiesto conto, almeno pubblicamente. A lui fanno riferimento la vicepresidente della Regione Elena Chiorino e il numero uno di Anci Piemonte Davide Gilardino tanto per fare due nomi. È nato nel 1976, un anno prima della premier, con cui ha condiviso tutta la gavetta sin dal Fronte della gioventù.

È la generazione Atreju, nata all’indomani dello storico congresso di Viterbo del 2004, quello in cui Meloni si prese Azione giovani, l’organizzazione giovanile di Alleanza nazionale. Un congresso a partire dal quale è iniziata la vera rivoluzione dell’underdog Giorgia che, come primo atto dopo l’elezione promosse il suo sfidante Carlo Fidanza (corrente di Gianni Alemanno) a numero due. E insieme forgiarono quella generazione oggi di quaranta e cinquantenni che rappresenta il cuore del gruppo dirigente di FdI. La generazione Atreju, appunto. Di qualche anno più giovane è invece la deputata Augusta Montaruli, a capo – assieme all’assessore regionale Maurizio Marrone (anello di congiunzione tra Torino e Roma) – di una componente strutturata soprattutto a Torino di cui fanno parte tra gli altri l’ex europarlamentare Fabrizio Bertot e le consigliere regionali Paola Antonetto e Alessandra Binzoni. Un’area in grado di fagocitare gran parte del gruppo dei camerati un tempo legati ad Agostino Ghiglia di cui oggi resta una sparuta testimonianza in parlamento con la senatrice Paola Ambrogio e a Palazzo Lascaris dove siede Roberto Ravello.  

“La verità è che anche le comunità politiche degli ex An si sono allargate e oggi includono dirigenti e amministratori provenienti da altre storie politiche”. Lo dimostra per esempio il sodalizio tra il consigliere comunale ex Udc Enzo Liardo con Marrone; mentre pare che il presidente del parlamentino piemontese Davide Nicco sia vicino alla componente di Delmastro. Ma guai a parlare di militanze correntizie, qui i confini sono quantomai labili come comprova la storia di un altro assessore regionale come Paolo Bongioanni, detto il caimano per la spregiudicatezza con la quale si muove nella sua provincia, Cuneo: un tempo legato a doppio filo con Daniela Santanchè, a fasi alterne diventa interlocutore privilegiato di Crosetto e allo stesso tempo è stato in grado di consolidare un rapporto con il ministro Francesco Lollobrigida sfruttando la sua delega al Commercio nella giunta di Cirio.

Un contesto in cui non mancano motivi di tensione. L’ultimo dopo la conferma di Evelina Christillin al vertice del Museo Egizio, nomina che il neo ministro della Cultura Alessandro Giuli avrebbe concordato direttamente con Delmastro estromettendo Crosetto e provocando così una mezza crisi diplomatica, subito sedata da Arianna Meloni.

E proprio Crosetto oggi è l’uomo su cui s’intrecciano retroscena e ricostruzioni. Si vocifera di un rapporto sempre più freddo con la premier, ma lui smentisce, di screzi sulle nomine nei servizi e a capo dei corpi delle forze militari, di rapporti alterni con il segretario regionale Comba – suo punto di riferimento in regione assieme al senatore novarese Gaetano Nastri – ma smentisce anche queste indiscrezioni, attribuendole a chi nel partito non gli vuole bene (e sono in tanti, sempre più numerosi). E anche sul ruolo di Comba (re travicello o soltanto infrattato?) è difficile venirne a capo: “Guido lo ha di fatto esautorato”, “macché, sulle nomine è stato proprio Fabrizio ad avere l’ultima parola. Anche a scapito di un nome particolarmente gradito al ministro”. Chissà, mai mettersi di mezzo tra fratelli.

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