POLITICA & SANITÀ

Medici di famiglia a libro paga. Schillaci sfida lobby e sindacati

Al ministero della Salute pronta una bozza della legge che rivoluzionerebbe il sistema: dottori dipendenti del Ssn. Tutti i precedenti tentativi sono falliti. In ballo interessi corporativi, ma anche la munifica cassa pensionistica Enpam

È solo una prima bozza, ma l’effetto è quello di una bomba pronta ad esplodere dividendo i camici bianchi tra loro, con la politica costretta a indossare l’elmetto e fronteggiare pesanti attacchi. Chiunque in passato ha solo immaginato di trasformare i medici di famiglia da liberi professionisti convenzionati con il servizio sanitario nazionale quali tutt’ora sono in dipendenti ha dovuto ripiegare di fronte a durissime resistenze della categoria. Oggi a riprovarci è l’attuale ministro della Salute Orazio Schillaci.

“Ripensare questa professione che deve essere al passo con i tempi e i cambiamenti”, aveva detto poco prima di Natale. Parole improntate al tatto, ma dietro le quali c’era già un lavoro incominciato da mesi con la collaborazione di alcune Regioni come il Veneto, il Lazio, l’Emilia-Romagna e il Friuli-Venezia Giulia per dar corpo a quella bozza di testo normativo con cui introdurre una riforma che, proprio considerati i precedenti fallimenti, non sarebbe esagerato definire epocale. Sempre che la si riesca a condurre in porto. 

In quello che il Governo potrebbe anche decidere di tradurre in decreto, accelerando un complicato iter legislativo, il punto cruciale è proprio il passaggio da libero professionisti a dipendenti per i futuri medici di medicina generale che, dunque, sarebbero assunti dal servizio sanitario e assegnati ai distretti delle Asl, in particolare a quelle Case di comunità che il Pnrr ha introdotto e dovranno essere funzionanti al massimo entro il giugno del prossimo anno.

Agli attuali medici di famiglia, oggi meno di 40mila in tutto il Paese, e tutti coloro che svolgeranno quella professione al momento dell’introduzione della nuova legge sarà data la possibilità di proseguire con la convenzione, anche se verrà chiesto un numero di ore, si parla di 14 alla settimana, da dedicare ad attività nell’ambito del distretto sanitario. Ovviamente che vorrà passare alle dipendenze potrà farlo, con orari e contratti nazionali come già in essere per tutti i camici bianchi ospedalieri o, comunque, inseriti a pieno titolo nelle strutture pubbliche.

Rispetto alla vociferata negli ultimi scampoli del Governo Draghi e poi mai concretizzata idea dell’allora ministro Roberto Speranza, la riforma cui sta lavorando Schillaci non si prefigura come una semplice norma, ma appunto come un testo articolato destinato a rivedere una parte importante di una precedente riforma, quella che prende il nome di un altro ministro, Francesco De Lorenzo, e che venne posta in atto con le legge 502 del 1992 quando si passò dalle Unità sanitarie locali alle Asl.

Il cambiamento cui mira il ministro contempla anche il percorso di specializzazione destinato a divenire universitario e quindi equiparato alle altre specialità, rispetto all’attuale impostazione regionale dove – e qui si affacciano le prime possibili ragioni di resistenza da una parte del fronte sindacale – operano strutture spesso legate a doppio filo alle organizzazioni di categoria. 

Ma sono le stesse Regioni, da tempo, con più o meno determinazione a chiedere il passaggio alle dipendenze dei medici di famiglia, richieste accentuate proprio dalla prospettiva dell’entrata in funzione a pieno regime delle Case di comunità e dalla necessità di far fronte a carenze di professionisti che solo nel caso del Piemonte sommano a non meno di un migliaio. “Ho un ottimi rapporto con i medici di famiglia, ma è chiaro che in un sistema sanitario integrato la riforma voluta dal ministro è un passaggio estremamente importante”, sostiene l’assessore alla Sanità piemontese Federico Riboldi, che con Schillaci condivide anche l’appartenenza a Fratelli d’Italia. “La stessa possibilità per gli attuali medici di medicina generale di continuare con il regime di convenzione – aggiunge Riboldi – è una garanzia e motivo per fugare timori e alimentare contrarietà”.

Contrarietà che ormai da tempo manifesta la Fimmg, uno dei principali sindacati di categoria secondo cui con la dipendenza si perderebbe il rapporto di fiducia con i pazienti. Vero o non vero che sia, tra ciò che il sindacato rischierebbe di perdere oltre al non trascurabile business della formazione ci sarebbe anche il peso in quella gallina dalle uova d’oro che è l’Enpam, la più grande cassa pensionistica privata con un patrimonio totale nel 2022 pari a oltre 25,3 miliardi di euro e un utile di esercizio pari di oltre 179 milioni di euro, oltre di 24 miliardi investiti, l’80% nel comparto finanziario, il resto nell’immobiliare e altri settori, compresa la sanità privata e il 5% delle azioni di Banca d’Italia. Con i medici non più liberi professionisti, ma dipendenti gli introiti della cassa presieduta da Alberto Oliveti, con uno stipendio di circa 50mila euro al mese e in passato segretario della Fimmg per le Marche, calerebbero non poco. Favorevole ai medici assunti dal servizio sanitario, invece, è lo Smi, altra sigla sindacale che come lo Snami non alza le barricate, pur aspettando di vedere il testo compiuto della riforma che in Lungotevere Ripa sembra volersi accelerare anche proprio in vista dell’entrata in funzione delle strutture finanziate con il Pnrr.

L’ultimo rapporto di Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, attesta che sulle prevista 1420 Case di comunità, a giugno del 2024, erano attiva soltanto 413 e come il problema maggiore sia rappresentato proprio dall’insufficienza di medici. In questo scenario, presente e futuro, s’inserisce un ulteriore elemento che certo non contribuisce a fare chiarezza e a sgombrare il campo da preoccupazioni. Proprio dall’inizio dell’anno, quindi da pochi giorni, la legge prevede l’entrata in funzione delle Aft, le aggregazioni funzionali territoriali, quelle equipe di medici di famiglia strutturate in maniera da garantire la copertura, insieme alla guardia medica, delle intere ventiquattr’ore. Anche in questo caso, però, la scarsità di professionisti rende in molti territori impossibile l’applicazione della norma.

Da Nord a Sud si va a rilento anche in Piemonte le difficoltà paventate da alcuni sindacati si stanno confermando. Paradossalmente potrebbe arrivare prima la riforma che prevede l’assunzione dei medici di famiglia e a quel punto le Aft, pensate ormai dieci anni fa e mai messe in pratica, finirebbero in gran parte la loro missione senza averla neppure incominciata.

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