Le istituzioni hanno perso la strada

La drammatica vicenda riguardante un ex operaio dell’azienda Embraco, raccontata in un articolo giornalistico di fine anno, ha destato scalpore tra i torinesi. L’uomo viveva da molto tempo in strada, a causa di un licenziamento a cui è seguita la disoccupazione forzata, nonché la perdita di tutti i suoi averi.

L’Embraco è una delle tante aziende piemontesi che ha delocalizzato la produzione all’estero, nello specifico in Slovacchia. I manager aziendali, oltre ad abbandonare la sede di Riva di Chieri, hanno ingiustamente negato il futuro ai loro 377 dipendenti che, dal gennaio 2022, non hanno più avuto diritto alla cassa integrazione. Centinaia di uomini e donne, di età media tra i 45 e i 55 anni, gettati via, al pari di scarti di lavorazione, e inoltre sostanzialmente scaricati da quelle istituzioni che avrebbero dovuto invece sostenerli nell’impresa “titanica” di trovare un nuovo impiego. Cittadini traditi prima dai partiti, che avevano promesso loro di provvedere a sradicare il fenomeno della delocalizzazione industriale, e poi presi in giro dai vari ministri che si sono dimostrati di manica larga nel rassicurare i lavoratori, a gran voce, che “nessuno sarebbe stato lasciato solo”.

La testimonianza dell’uomo senza fissa dimora, rifugiatosi in Galleria San Federico, è davvero scioccante, poiché fotografa il “dopo trattativa con i padroni del vapore” (capitani della finanza oramai senza volto), ossia quella fase successiva alla lotta sindacale, portata a difesa dei posti di lavoro, di cui non si parla mai: un cono d’ombra in cui cadono buoni propositi, accordi, strette di mano e discorsi improntati sull’efficacia del nostro sistema di welfare.

Evidentemente, le misure di protezione destinate ai lavoratori di Embraco non hanno funzionato a dovere, al pari delle politiche sociali ideate per sostenere coloro che hanno perso lavoro e casa. L’uomo, dopo aver raccontato al suo intervistatore il percorso che lo ha portato in strada, ha dedicato alcune parole alla sua nuova, nonché unica, famiglia: due clochard, un giovane uomo e una donna di 85 anni, costretti anch’essi a dormire sotto le volte della Galleria San Federico,

L’articolo ha scosso particolarmente un imprenditore, il quale ha voluto subito incontrare l’ex operaio, decidendo quindi di assumerlo con la mansione di guardiano presso la propria azienda. Un lavoro significa, sostanzialmente, poter abbandonare la strada e riprendere in mano la speranza per un futuro dignitoso, ma in questo caso consente pure di voltar pagina, archiviando le drammatiche conseguenze sociali derivate dalla brutale delocalizzazione all’estero della Embraco.

Questa assunzione è senz’altro un esempio importante di solidarietà umana che, oltre a ricordare il finale di un film natalizio, riporta alla mente alcuni gesti filantropici dei secoli scorsi: gli interventi di ricchi nobili, o borghesi, che raccoglievano dalla strada persone in povertà per inserirle poi nei loro libri paga. Una generosità privata (alla Jean Valjean de “I Miserabili”) che si sostituisce alle impassibili e fredde istituzioni.  

L’imprenditore ha dimostrato una lodevole empatia e una grande generosità, meritando l’apprezzamento incondizionato di chi scrive, ma non si può comunque ignorare che rimangono a dormire all’addiaccio decine di altre persone, tra cui l’ottuagenaria signora rifugiatasi in Galleria San Federico. Inoltre il sipario, dopo le lotte e gli articoli giornalistici, è calato pure sugli altri 376 ex operai della fabbrica di Riva di Chieri, così come è sceso sulle numerosissime famiglie cadute in povertà per le scellerate decisioni attuate da amministratori delegati privi di qualsiasi etica.

Le istituzioni politiche non possono affidare le azioni di intervento sociale esclusivamente a singoli cittadini, così come non possono ignorare le postazioni di cartone che ospitano decine e decine di senza tetto caduti in disgrazia in seguito a un licenziamento, oppure dopo un lutto importante. Lasciare le cose come stanno, senza l’attuazione di credibili politiche del lavoro (di azioni inclusive che diano fiducia nel domani a coloro che davvero non hanno più nulla), richiama un lontano passato: secoli in cui non vigeva ancora la Costituzione repubblicana (e neppure lo Statuto Albertino), e l’assistenza sociale veniva affidata alle prigioni, oppure nelle sole mani di pochi benefattori (come quelle dell’infaticabile Giulia di Barolo). 

Grandi eventi, dehors lussuosi, red carpet sono “immagini” che farciscono l’effimero: utili esclusivamente ad appagare il narcisismo di qualche pubblica amministrazione. La vera differenza tra una città a misura di cittadino e un sobborgo di Filadelfia risiede negli investimenti che le istituzioni riservano al welfare, e quindi all’impegno che mettono in campo per abbattere l’ingiustizia sociale.  Persone in abito da sera che passeggiano tra letti di cartone per recarsi alla “prima” del grande evento di turno non è cultura, oppure sport, ma è solo uno spettacolo penoso per Torino e per i suoi cittadini.

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