Il fronte quotidiano
Juri Bossuto 07:00 Giovedì 16 Gennaio 2025
La fretta dovuta alla continua corsa quotidiana provoca, tra le altre cose, incapacità di riconoscere i pericoli reali. La faticosa routine lavoro-casa favorisce infatti una concentrazione settoriale, da cui deriva l’impossibilità di valutare con attenzione quanto accade appena al di fuori dell’uscio di casa.
L’unica esigenza di “sicurezza”, solitamente, è quella legata all’immediato, ai pericoli che minacciano il proprio ambito familiare e patrimoniale. Turba la presenza di individui sconosciuti, e ci si indigna di fronte a un “diverso” che potrebbe causare, con la sua sola presenza, qualche turbamento al quieto vivere. Taluni programmi televisivi aiutano a rafforzare queste sensazioni, sino a far assumere al pubblico una visione molto ristretta del proprio ruolo all’interno della comunità circostante.
Nel frattempo, infatti, al di fuori dell’ambito domestico fioriscono indizi piuttosto evidenti di un meccanismo di potere perverso, ideato con lo scopo di spremere le famiglie per avvantaggiare i soliti gruppi di comando. La nuova speculazione in arrivo su gas e carburanti (che in autostrada hanno già raggiunto cifre record) è l’ineluttabile conferma della divisione netta che separa i dominati (tantissimi) dai dominatori (pochi): ennesimo spropositato profitto, a favore dei soliti noti, giustificato indicando le guerre in corso.
Le cause economiche scatenanti il conflitto che insanguina da quasi tre anni l’Europa dell’Est (anche la Russia è parte del continente europeo) non sono misteriose. Il meccanismo usato per convincere i popoli a bombardarsi a vicenda è sempre lo stesso: un mascheramento del casus belli che fa leva sui collaudati sentimenti ipernazionalistici.
Le guerre sono decise a tavolino da pochi che iniziano pianificando colpi di stato, oppure persecuzioni contro le minoranze linguistiche e religiose di turno; pochi scelgono di armare una delle due parti, in genere il leader che si sdebiterà concedendo al benefattore l’estrazione di terre rare o altre essenziali materie prime; pochi trarranno golosi vantaggi, sia durante il conflitto bellico che in seguito alla Pace, ma tanti ne pagheranno le conseguenze perdendo la casa e a volte anche la vita.
I segnali di un prossimo conflitto molto più ampio dell’attuale sono oramai visibili: una folle corsa verso la guerra che passa sopra le teste di tutti, ma voluta da un gruppo ristretto di leader insensibili al bene delle genti e del pianeta. Nel nome dello sfruttamento delle risorse strategiche, destinate alle industrie dalla tecnologia più avanzata, muoiono persone, mentre altre sono costrette a combattere tra le pareti di casa per poter pagare le bollette delle utenze e del riscaldamento: ecco il pericolo reale che i più non percepiscono.
Il sabotaggio attuato ai danni del Nord Stream (il cosiddetto flusso settentrionale del gas), effettuato da una delle parti in guerra contro la Russia, ha dato il via alla sostituzione dei fornitori di metano dell’Italia: le importazioni da Mosca quest’anno sono scese a un quarto, rispetto ai volumi acquistati prima del 2022, mentre sono salite quelle provenienti da Algeria, Azerbaijan e (tramite l’uso di degassificatori) dagli Usa, nazione, quest’ultima, precedentemente esclusa dal mercato italiano.
La chiusura del rubinetto, decisa dall’Ucraina, del poco gas russo che ancora era destinato all’Italia diventa un ottimo alibi per l’ennesima impennata del prezzo al consumo della materia prima. Rincaro che cade principalmente sull’economia delle famiglie: le stesse già messe a dura prova dall’aumento dell’Iva, in bolletta del gas, varato dall’ultima finanziaria del governo Meloni. Un aumento ingiustificato, una speculazione che ci accompagna in una sorta di economia prebellica riservata, però, ai soli cittadini e ai piccoli imprenditori.
Nelle acque agitate del Mar Baltico sta iniziando un altro scenario che sarà fonte di ulteriori spiacevoli conseguenze per l’Europa, continente sempre più vicino a diventare un enorme campo di battaglia. L’esplosione del gasdotto russo è stato, per le diplomazie europee, un atto inevitabile, mentre al contrario tranciare i cavi delle telecomunicazioni scandinave è guerra ibrida. Al contempo, il Presidente lituano, forse in un attimo di enfasi emulativa di Trump mentre rivendica Canada e Groenlandia, annuncia di rivoler annettere alla Lituania l’enclave russa di Kaliningrad: scenario prevedibile (che sicuramente non alleggerisce gli animi), poiché parte della conclamata strategia atlantica di impedire a Mosca qualsiasi accesso al mare.
Quando si guarda al sistema di potere del Cremlino viene usata la definizione “Oligarchia”, individuando quindi nella Russia un “regime politico caratterizzato dalla concentrazione del potere effettivo nelle mani di una minoranza, per lo più operante a proprio vantaggio e contro gli interessi della maggioranza”. Guerre e speculazioni, decise da pochi a vantaggio di pochi e a danno dei più, sono però fenomeni tutt’altro che ignoti all’interno dei confini del Patto atlantico, così come è generalmente conosciuta l’astensione al voto degli elettori che sfiora il 60% in Italia.
Gli indizi di un regime oligarchico ben avviato pure in Occidente sono tangibili, ma è impossibile prenderne coscienza quando la lotta per la sopravvivenza quotidiana si mostra sempre più difficile. La sicurezza collettiva, quella vera poiché legata alla guerra, non è prioritaria per i cittadini quando pensioni e stipendi non garantiscono loro una vita dignitosa: solo la partenza per il fronte delle giovani leve svelerà il freddo cinismo del potere oligarchico che ci governa, ma a quel punto sarà importante solamente sopravvivere.