Guerre (e balle) spaziali

Governo dello Spazio. È iniziata la concorrenza a Elon Musk, con il lancio del vettore Blue Origin di Jeff Bezos. Uno dei motivi per cui anche Bezos corre a genuflettersi a Trump. I risultati per i due miliardari non sono stati esaltanti perché uno è esploso in volo e l’altro non è riuscito a tornare a terra ma questo fa parte degli incidenti di chi sta spingendo al massimo la corsa nello spazio.

Stiamo assistendo, con i lanciatori capaci di rientrare alla base “all’aeronautizzazione” dello spazio. In realtà ciò era già avvenuto circa quarant’anni fa con lo Shuttle, programma poi abbandonato dalla Nasa. La novità, ormai assodata è l’ingresso dei privati e Musk non è certo in regime di monopolio perché Bezos con Blue Origin e la rete di satelliti Kuiper, Branson con Virgin Galactic per dire i tre maggiori ma anche Google, Facebook e Apple stanno investendo sempre più nel settore. Per cui credo che “l’innamoramento” della Presidente del Consiglio per Starlink, oltre a valutarlo in termini di costi va analizzato in termini capacità dei competitor di avere offerte migliori, non a breve però a medio termine di sicuro.

Inoltre, il recente Ddl Spazio, su cui Musk aleggia in modo evidente in un solo articolo, il 25 (cito il Manifesto del 16 gennaio 2025 «sia satelliti sia costellazioni in orbita geostazionaria, media e bassa, gestiti esclusivamente da soggetti appartenenti all’Ue o all’Alleanza atlantica») mi sembra che sia orientato più alla cooperazione Europea e alla Nato come appunto rileva anche la frase “perigliosa”. Forse avrebbero dovuto fare più attenzione all’art. 22, comma 4 che disciplina il partenariato pubblico-privato dove sono inseriti i controlli statuali e le compatibilità di spesa perché c’è qualcosa che non torna sull’eventuale accordo governo–Space X. Ed è appunto il prezzo. Se il Pentagono paga a Space X 23 milioni di dollari per proteggere l’Ucraina e consentirle di colpire obiettivi russi, perché noi dovremmo darne 1,5 miliardi in cinque anni con un uso di satelliti infinitamente più basso rispetto agli Ucraini? E sopratutto da dove verrebbero attinti quei fondi visto che il Ddl per lo Spazio stanzia cifre ben inferiori? Con l’articolo 23 nei commi 1-2-3 mi pare che ci si riferisca all’industria nazionale e alla remunerazione del partenariato pubblico-privato con un ritorno economico. Non sembra il caso dell’accordo con Starlink come già detto e anche in questo caso i vari commi dell’art. 25 parlano di invarianza dei costi a legislazione vigente e sono ancora da definire i criteri per individuare i soggetti privati.

Altra questione molto rilevante è il tema dei costi per lanciare un satellite. Fondamentale per l’Esa (Agenzia Spaziale Europea) dotarsi di lanciatori di nuova generazione, ovvero aeronautizzati. Di solito per il trasporto in orbita di un satellite Space X chiede come cifra di partenza 60 milioni di dollari. Secondo le stime della stessa azienda, quando il sistema di riutilizzo dei razzi sarà a pieno regime il prezzo potrà essere più basso del 30 per cento, quindi intorno ai 40 milioni di dollari.

L’Europa sta lavorando al progetto Susie, Smart Upper Stage for Innovative Exploration, che tiene insieme le due questioni di sviluppare lanciatori riutilizzabili sia di razzi lanciatori, delle navicelle cargo o con equipaggio.

Terza questione, legata anche ai costi, l’Europa non aveva basi di lancio a parte Kourou nella Guyana Francese per cui se usa Space X o altri lanciatori statunitensi deve andare negli Usa. Ora è stata inaugurata la prima e nuova piattaforma di lancio sul suolo europeo a Kiruna, in Svezia.

L’Europa è certamente in ritardo ma qualcosa si muove e la recente elezione di Trump ci dice che è necessario accelerare l’autonomia tecnologica e operativa da parte dell’Unione Europea, cosa che ci ricorda anche il Piano Draghi. Oggi c’è una “disperata” ricerca di materie prime e l’osservazione della terra dallo Spazio ci consente di localizzare giacimenti di materie prime. L’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile ci informa che il rapporto Ispra di metà 2024 denominato GeMMA (Geologico, Minerario, Museale, Ambientale) con l’obiettivo di  valorizzazione delle materie prime critiche (mpc), ovvero i metalli necessari per realizzare la transizione ecologica e digitale, presenti sul territorio nazionale ci dice che in Italia sono ancora attive 76 miniere, di cui 22 estraggono materiali che fanno parte della lista di 34 mpc identificate dall’Ue all’interno del Critical raw materials act. Il documento, adottato dalle istituzioni europee l’11 aprile ‘24, impone agli Stati membri di elaborare dei programmi minerari nazionali la cui funzione è di mappare i giacimenti di risorse minerarie presenti nei territori e fornire tutte le informazioni necessarie per il loro sfruttamento, al fine di diminuire la dipendenza dell’Unione dalle importazioni di materie prime, soprattutto di quelle critiche.

Spazio, materie prime e transizione ecologica sono un bel trio su cui valorizzare la nostra industria aerospaziale nazionale che può vantare un budget per lo spazio di oltre 1 miliardo di dollari ed è il terzo contributore dell’Esa con 2,3 miliardi di euro dopo Francia e Germania. Inoltre, possediamo una filiera completa su tutto il ciclo, dall’accesso allo spazio alla manifattura, dai servizi per i consumatori ai poli universitari e di ricerca, con un’ottima distribuzione delle attività su tutto il territorio nazionale: nel Lazio, in Lombardia, Piemonte, Campania e Puglia. Il comparto spaziale italiano è composto per circa l’80% da piccole e medie imprese altamente specializzate nel campo manifatturiero e in diversi ambiti: dai componenti elettronici all’avionica, dall’assemblaggio delle strutture alla creazione di materiali ad hoc, da componenti ingegneristiche a strumentazione ad alta precisione. Una filiera di oltre 200mila addetti con più di 4.000 aziende. Di queste da Thales Alenia Space a Altec da Argotec a Avio sono in Piemonte. Al Distretto Aerospaziale piemontese aderiscono circa 50 aziende ma sono oltre 450 le PMI che lavorano anche sul settore, con oltre 35mila addetti complessivi e più di 8 miliardi di fatturato.

Questi dati ci dicono che insieme ai settori storici come l’automotive, oggi in difficoltà ma a cui non si può rinunciare avanzano settori relativamente giovani con un grande futuro in prospettiva e anche i dati occupazionali lo confermano. Un settore che può essere molto attrattivo per i giovani e oggi certamente è supportato da un eccellente Politecnico. Ma come ci ricorda Rampini nel suo interessante libro: “Grazie Occidente!”  i giovani vanno attratti con il “contesto” dove conciliare vita e lavoro dal paesaggio con le nostre montagne e le colline del vino, al buon cibo, ai parchi cittadini e montani, dai locali alle infrastrutture ricettive. Ma serve anche tanta ospitalità, gentilezza, la chiama Rampini, uscendo ancora dal nostro eccessivo provincialismo. Ma siamo sulla strada giusta e per una volta perseverare non è diabolico ma profetico.

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