RETROSCENA

Agita il Pd l'incontro (mancato) tra Lo Russo e Orlando

L'appuntamento, in agenda nella mattinata di ieri, saltato per un contrattempo dell'ex ministro è solo rinviato. Un rendez-vous inconsueto che sta provocando una ridda di ipotesi tra i dem. Di che devono parlare? C'entra il partito o le amministrative?

C’è chi fino a poche ore fa assicurava di averlo visto varcare il portone di Palazzo di Città. In verità, il vis-a-vis tra Andrea Orlando e Stefano Lo Russo, in agenda nella mattinata di ieri, è saltato per un contrattempo che ha costretto l’ex ministro a rinviare l’appuntamento. Un incontro che, al di là dell’intoppo prontamente rimediato fissando una nuova data, suscita parecchia curiosità nel demi-monde della politica subalpina.

A partire dai contenuti del colloquio che non può certo essere rubricato a una semplice visita di cortesia dell’ex vicesegretario nazionale del Pd al suo compagno di partito. I due hanno sempre occupato estremi opposti nel partito: il sindaco di Torino nell’area riformista – da Gianfranco Morgando, suo pigmalione, a Matteo Renzi fino a Stefano Bonaccini – l’altro campione dei Giovani turchi, la componente di sinistra del Pd che di sponda con Matteo Renzi rottamò i padri, Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema. Bocche cucite, da entrambi trapela solo un certo fastidio per la fuga di notizie su un rendez-vous che avrebbero voluto rimanesse segreto. Perché?

Eppure, nonostante la consegna del silenzio, qualche ipotesi non proprio campata nell’aria è possibile fare. Intanto, Orlando dopo la sfortunata campagna per la presidenza della Liguria sta giocando la partita sulla successione di Marco Bucci al Comune di Genova e Lo Russo è da poco assurto al Nazareno con l’incarico di coordinare i sindaci dem. Che Orlando sia in cerca di una sponda per spianare la strada a un suo candidato, dopo aver sdegnosamente rifiutato l’investitura? Possibile, ma difficile. Dopo l’appoggio alle primarie di due anni fa si presume infatti che Orlando abbia un canale aperto con la segretaria nonostante le voci di un raffreddamento dei rapporti dopo la sconfitta in Liguria e soprattutto dopo averlo di fatto costretto all’esilio forzato all’ombra della Lanterna.

Sebbene non si amino hanno il reciproco interesse a legittimarsi vicendevolmente, leader nei rispettivi territori (peraltro confinanti e con dossier comuni, dai trasporti a Iren) e delle aree politiche di riferimento, in un contesto in cui nel Pd torna a respirarsi un’aria frizzante, complice anche la fine della lunga pax elettorale che ha tenuto unito il partito fino alle urne in Emilia-Romagna e Umbria. Del resto, l’ex figiciotto e vice di Nicola Zingaretti al Nazareno, è a capo di Dems (Democrazia Europa Società), la corrente di sinistra sostenitrice di Schlein ma estranea al cerchio magico armocromista: da nipotino dell’apparato Pci (uno dei suoi riferimenti è l’ex tesoriere Ugo Sposetti) guarda con diffidenza le torsioni movimentiste e assembleari del nuovo corso, di cui in privato dice peste e corna. Una componente presente in lungo e in largo nella Penisola, di amministratori locali e dirigenti di partito, con un nucleo di peso a livello romano. Una falange agguerrita che, al netto di qualche moto di scoramento (“In questi anni ho fatto da ufficio di collocamento”, si è sfogato di recente), vuole continuare a guidare. Militano sotto le insegne Dems, tra gli altri, l’ex ministro Peppe Provenzano e l’ex viceministro Antonio Misiani (entrambi in segreteria nazionale), il tesoriere Michele Fina, il deputato e responsabile dell’organizzazione Marco Sarracino. Ma soprattutto, in terra sabauda, c’è la vicepresidente del Senato Anna Rossomando, il cui nome ricorre di tanto in tanto quando si parla delle possibili alternative al sindaco uscente alle prossime amministrative.

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