GLORIE NOSTRANE

Poggi pronta a mollare la Crt, gira il suo nome per la Consulta

Nei palazzi torinesi si maligna: "È lei che lo sta facendo circolare". A Roma i più lo escludono ma con l'ultima giravolta sul premierato, nient'affatto ostile alla Meloni, chissà che la giurista ciellina non possa essere la soluzione di compromesso? Nove anni dorati

Nelle ultime ore circola anche il nome di Anna Maria Poggi tra i candidati all’elezione dei quattro giudici della Corte Costituzionale. In verità, la voce dell’ingresso – a sorpresa e in zona Cesarini – della giurista ciellina nella rosa sul tavolo delle trattative in corso tra le forze politiche è al momento circoscritta alla cinta daziaria di Torino, finendo così per dar credito alle maldicenze secondo cui sarebbe lei stessa ad averla messa in giro. “Si candida a tutto, è bulimica di fama più che di posti, anche se alla fine le due cose coincidono”, la descrive non proprio amabilmente un suo collega sottolineando la sfrenata ambizione della volitiva professoressa di Diritto che fin dai primi passi in accademia, sotto lo sguardo benevolo di Franco Pizzetti, ex vicesindaco Dc, ha intrattenuto relazioni proficue con la politica. È stata chiampariniana, quand’era in auge il sindaco e poi governatore Pd Sergio Chiamparino, renziana nella stagione del bullo di Rignano a Palazzo Chigi, salviniana ai tempi del boom del Capitano, e poi via via boniniana, calendiana, pro referendum Mattei contro l’invio delle armi all’Ucraina e negli ultimi tempi persino un po’ meloniana, come testimonia la difesa del progetto di premierato pronunciata alla Camera ricevendo il plauso della presidente del Consiglio (preparata dal libro Le virtù del premierato). E forse proprio per questa “trasversalità”, che i detrattori considerano spregiudicatezza, ritiene di avere le carte giuste per ambire alla Consulta.

“Tecnico” e “donna”: due peculiarità che, a quanto pare, deve caratterizzare il profilo del quarto membro “indipendente”, quello condiviso da maggioranza e opposizione, secondo lo schema 2+1+1 (due giudici al centrodestra, uno alle minoranze ed uno indipendente). Poggi, sempre che qualche grande elettore sostenga davvero la sua candidatura, deve vedersela però con una pattuglia piuttosto numerosa e agguerrita: da Lorenza Violini a Giuditta Brunelli da Luisa Corazza a Carmela Camardi. Anche se a pochi giorni dall’ennesima votazione – il Parlamento in seduta comune è convocato giovedì 30 gennaio alle 9 – l’unico nome ancora in campo sembra essere quello di Valeria Mastroiacovo, tributarista e presidente dei giuristi cattolici, mentre è tramontata l’ipotesi dell’avvocata generale dello Stato Gabriella Palmieri Sandulli, logorata dalla girandola delle ultime settimane.

A Palazzo Perrone, sede della Fondazione Crt si respira un’aria frizzantina, come se la buriana dei mesi precedenti non sia del tutto alle spalle e nuovi fortunali possano mandare all’aria quella precaria stabilità che governa l’ente e di cui proprio la presidente si è fatta, in qualche modo, garante. Una cosa è certa, riferisce un insider di via XX Settembre, qualora l’ipotesi di diventare giudice costituzionale si facesse concreta la Poggi non ci penserebbe un attimo a mollare baracca e burattini. D’altra parte, come darle torto, per la 65enne giurista romana (è nata a Ciciliano, un paesino tra Tivoli e Subiaco) significherebbe chiudere in gloria la carriera: nove anni dorati alla Consulta, quasi un laticlavio da senatore a vita.

Ancora qualche giorno col fiato sospeso, tempo perché le forze politiche trovino un accordo sui nomi che dovranno andare a ricostituire il plenum e superare l’attuale situazione che vede la Corte composta da 11 membri, il numero legale minimo. Sono stati più di dieci finora i tentativi di arrivare in Aula con una condivisione che permettesse di chiudere la vicenda. Si era iniziato con un solo membro da sostituire (Silvana Sciarra) ma il trascinarsi del muro contro muro ha finito per far lievitare il numero a quattro con l’addio a dicembre di altri tre giudici (Augusto Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperetti). L’elezione si è rivelata complicata perché per eleggere i giudici costituzionali servono i due terzi dei parlamentari nelle prime tre votazioni, i tre quinti dalla quarta in poi. Soglie che presuppongono il raggiungimento di un’intesa larga.

Restano infatti definiti i soliti due nomi di candidati “blindati”: Francesco Saverio Marini, quota FdI, il professore scelto da Giorgia Meloni che in lui ha avuto il consulente giuridico del premierato, e Massimo Luciani, l’avvocato accademico dei Lincei, già avversario dell’autonomia differenziata indicato da Elly Schlein. Mancano gli altri due candidati: il componente che nella spartingaia è assegnato a Forza Italia, dove si sta ragionando su Andrea Di Porto, professore universitario ed ex avvocato (anche) di Fininvest, vecchia conoscenza della Poggi essendo stai entrambi in Compagnia di San Paolo, e appunto il nome di una giurista-donna da condividere tra destra e sinistra.

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