Trump chiama Torino

Trump chiama Torino. Torino risponde? Oggi le analisi sulle prime mosse del presidente americano sono improntate allo scandalismo democratico. Qualche autorevole commentatore è persino arrivato a dire che nemmeno Hitler aveva così spudoratamente immortalato i suoi obiettivi, siamo alle sciocchezze che vanno oltre la cultura woke. Cito il woke perché se la sinistra non si risveglia sulla capacità di analisi degli scenari politici internazionali e locali discuterà con i propri intellettuali resterà ai margini per molto tempo ancora, relegata a una perenne opposizione.

Nessuno ha visto arrivare Trump? Quei 77 milioni di statunitensi tra cui afroamericani, ispanici, figli di immigrati e tanti bianchi che hanno votato Repubblicano non valgono nulla? Lo stesso dicasi per Milei in Argentina; eletti dal popolo, come Giorgia Meloni. Perché oggi non sento più analisi sul perché i democratici hanno perso le elezioni, sul perché le destre vincano un po’ ovunque (tra poco toccherà alla Germania)?

Per cercare una risposta alla mia domanda ho letto un articolo di Barbara Carnevali, professoressa di estetica sociale presso l'École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS) di  Parigi, la quale ci spiega che la cultura woke si tiene con la difesa della working class. Diritti civili e diritti sociali. Elitarismo e masse. Una interessante analisi, estetica naturalmente, ma senza che l’autrice riesca a chiudere il suo pensiero con il cosa fare, giacché questo lo delega ad altri. Troppo facile. Partirei da un concetto: per governare occorre avere la maggioranza degli elettori. Prima analisi: la cultura woke, minoritaria, non ti porta a vincere le elezioni. Secondo dato: i lavoratori dipendenti privati, una volta rappresentati dalla sinistra e dal centro, oggi votano in modo consistente a destra e sono circa 17 milioni in Italia a cui possiamo aggiungere circa 4 milioni di lavoratori pubblici e circa 5 milioni di autonomi. Dunque a chi si deve rivolgere la sinistra per evitare di continuare a perdere le elezioni?

Una sinistra che parla ai bisogni di minoranze. che vanno tutelate in tema di diritti civili, deve ricordarsi che le maggioranze non possono essere assoggettate alle minoranze. La cultura del politicamente corretto è esercitata oggi da coloro i quali sembrano aver dimenticato chi lavora e produce. Questo è il grande limite della sinistra, la sua incapacità di essere maggioranza.

Oggi la sinistra non ascolta o forse non vuole capire lo storico conservatorismo presente nel mondo del lavoro. Istinto di conservazione? Chissà. La sinistra è persa in quel movimentismo ben rappresentato dal segretario della Cgil Maurizio Landini su cui Elly Schlein si è adagiata. Ultimo atto, emblematico, il sostegno ai referendum sul Jobs act. Ennesimo grande regalo alla destra che si trastullerà guardando il Pd dividersi su un provvedimento che due lustri fa sostenne in modo compatto. Emblematica l’affermazione, tempo fa, di un sindacalista Fiom torinese secondo cui loro, la Fiom, non ce l’avevano con il Pd ma con Renzi. Ovvero con l’unico segretario che portò il Pd al 40% delle Europee 2014.

Si può pensare di diventare maggioranza in Italia solo sei si abbandonano i fantasmi del passato, le battaglie di retroguardia o quelle inutili (quanto ha davvero inciso sulla vita degli italiani il Jobs act? Poco). Mentre invece l’incidenza politica dei referendum contro quella legge sarà alta, ne farà le spese il Pd mentre qualche capo sindacale potrà piantonare la sua ennesima bandierina. Il tutto per dei referendum che non raggiungeranno, probabilmente, nemmeno il quorum. Insomma, un’eutanasia politica.

I sondaggi politici sono impietosi e ci dicono che la sinistra non sta crescendo, c’è solo un piccolo travaso di voti dal M5s al Pd. Mi pare che molti nella coalizione stiano capendo che per allargare il consenso bisogna puntare sui moderati che ultimamente se ne stanno a casa, non sulle ali estreme.

Torino è stata un laboratorio politico e sociale e può raccogliere il segnale dato dal voto verso Trump dei ceti produttivi, dei ceti intermedi e dei penultimi, da quell’America integrata, che vive, lavora e produce a partire dalla classe operaia statunitense, che va riconquistata. Torino chiama Detroit scrivevano Giuseppe Berta e Paolo Griseri nei loro reportage e analisi ma sopratutto occorre rioccupare il territorio da parte del centrosinistra e non bastano gli amministratori, seppur preziosi.

Ci va una proposta credibile, con i piedi per terra, realista e Torino ha gli elementi in sé, le condizioni, per farla nascere: C’è un gruppo dirigente, un pensatoio capace di rimettere in piedi ciò? Se il mondo del lavoro sono i penultimi, vuol dire che hanno opportunità, capacità e risorse per aiutare gli ultimi. Partire, ripartire, dal mondo del lavoro dipendente, compresi i circa 4 milioni di imprenditori, sapendo che il 95% delle imprese è fatto da aziende con meno di dieci dipendenti. Evitando l’errore già in corso per cui si pensa che ripartire dalla Cgil è ripartire dal mondo del lavoro. Quella è la parte consolidata, forse, al centrosinistra occorre tutto l’altro mondo del lavoro. 

Torino, nonostante la crisi dell’auto, ha il terreno fertile per fare ripartire un centrosinistra riformista con le sue varie anime perché ha in eredità un grande laboratorio e tradizione politica, sindacale e di intellettuali nonché manager e imprenditori capaci e lungimiranti. Racchiude le esperienze industriali che hanno fatto la fortuna dell’Italia intera come l’auto, ha i settori del presente e del futuro come l’aerospazio e da Torino può partire una nuova era del nucleare e tutto ciò è affiancato da un ottimo sistema universitario.

Ci serve “solo” la lungimiranza della politica che sappia mixare il tutto in un progetto politico e allora alziamo la cornetta e rispondiamo: “Pronto Donald? Stiamo arrivando, avvisa Giorgia”, perché è meglio avvisarli così la vittoria sarà più difficile ma solida piuttosto che arrivare all’improvviso, ma non sapere dove andare...

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