Medico di turno alle Molinette operava in clinica privata
Stefano Rizzi 12:00 Martedì 28 Gennaio 2025Il caso del camice bianco universitario tra quelli nel fascicolo della Procura della Repubblica. Il precedente del pediatra licenziato. Immediato l'effetto dell'inchiesta: tra i direttori delle Asl la corsa a controllare le autorizzazioni per l'intramoenia all'esterno
Quel giorno il medico, un affermato specialista universitario, era di turno reperibile alle Molinette. Ma solo sulla carta. Già, perché anziché a disposizione dell’ospedale in cui lavora, il professionista era a fare un intervento su un paziente in una clinica privata presso cui esercitava la libera professione. Un altro giorno, anzi parecchi altri giorni, un pediatra del Regina Margherita, all’epoca ancora compreso nella Città della Salute, anziché svolgere la sua attività in ospedale, dopo aver timbrato usciva per fare altro, tra cui visite a domicilio come libero professionista.
Sono solo due dei casi – il secondo ha portato al licenziamento del medico – che raccontano una faccia nascosta, ma poi non troppo, del rapporto spesso malato tra lo status di medico dipendente del servizio pubblico e lo svolgimento dell’attività libero professionale in regime di intramoenia su cui – come rivelato ieri per primo dallo Spiffero – la magistratura ha aperto un fascicolo nell’ambito dell’inchiesta sulla più grande azienda ospedaliera del Piemonte.
Un’inchiesta, quella principale, che ha portato a 25 indagati tra ex direttori e alti dirigenti per ipotesi di reato attinenti alla gestione dei conti, compresi quelli inerenti gli introiti della stessa intramoenia. Materia esplosiva, quella della libera professione consentita per legge ai medici in regime di esclusiva con l’azienda di cui sono dipendenti e che, sempre in base alla legge, dovrebbe essere svolta appunto entro le mura della struttura pubblica, con alcune eccezioni nel caso in cui non siano disponibili locali e attrezzature adeguate. Eccezioni che negli anni sono diventate la regola, ribaltando il concetto tanto da arrivare proprio alla Città della Salute ad avere solo il 18% dell’intramoenia al suo interno. Il resto fuori, a parte qualche raro caso di ambulatorio del medico, tutto nelle strutture sanitarie private non accreditate, ovvero che non hanno rapporti con il servizio sanitario regionale. È li che si sviluppa il business dei medici e di chi li ospita, ovviamente non gratis. Affari del tutto leciti se viene seguita la legge, incominciando dalla reale mancanza di locali nella struttura pubblica e dal rispetto del rapporto tra prestazioni in regime istituzionale e quelle a pagamento con queste ultime che non dovrebbero mai superare le prime. Anche qui il discrimine tra teoria e pratica è molto labile, altrettanto i controlli.
L’indagine della magistratura stabilirà se quella concomitanza di orario che vedeva il medico pagato con soldi pubblici mentre intascava quelli dei clienti provati è davvero sempre frutto di disattenzione o, almeno in parte, siano violazioni della legge. Certamente sono un elemento in più a sostegno della necessità di una revisione concreta di un sistema dove le autorizzazioni per svolgere l’intramoenia all’esterno si sono andate moltiplicando a dismisura e non solo a Città della Salute. Non è una combinazione se già ieri, dopo la pubblicazione della notizia dell’inchiesta sullo Spiffero, più d’uno dei direttori generali appena insediatisi alla guida delle Asl ha disposto immediati controlli proprio sulle autorizzazioni in essere chieste e ottenute dai medici per esercitare la libera professione all’esterno dell’ospedale. Come scrivevamo già mesi fa, in Asl del Piemonte ci sono casi di professionisti ospedalieri che esercitano l’intramoenia addirittura in sette diverse strutture private distribuite in città diverse.
Non pochi casi finiti nel fascicolo della Procura della Repubblica erano stati segnalati, nei mesi scorsi proprio dall’ex vertice di Città della Salute diretta da Giovanni La Valle, anch’egli tra i 25 indagati. E proprio l’ex direttore, nel caso dello specialista reperibile che invece era nella clinica privata, aveva trasmesso tutti gli atti all’Università competente per i provvedimenti disciplinari nei confronti del personale accademico. In altre circostanze il direttore generale aveva avviato procedimenti, poi congelati per l’intervento della magistratura.
Dal primo gennaio La Valle dirige l’Asl To3 e alla Città della Salute, guidata ad interim prima dall’ex direttore amministrativo Beatrice Borghese e adesso da quello sanitario Emanuele Ciotti, il primo marzo è atteso il commissario Thomas Schael. Il manager tedesco ha già fatto sapere di essere intenzionato, per ridurre le liste d’attesa, a sospendere temporaneamente l’intramoenia nelle specialità dove i tempi sono più lunghi, così come fatto già per due volte all’Asl di Lanciano Vasto Chieti che dirige ancora per un mese. Il provvedimento preso nell’azienda abruzzese non era certo sfuggito ai camici bianchi di corso Bramante. Ed è difficile escludere che proprio anche questo atteggiamento su una questione sensibile come l’intramoenia di der Kommissar abbia pesato sul muro alzato, nei suoi confronti e della decisione dell’assessore regionale Federico Riboldi, dal mondo accademico. E non solo.