Crt rosica nel risiko bancario
07:00 Mercoledì 29 Gennaio 2025La Fondazione torinese non ha ancora deciso da che parte stare nella guerra per banche. Gli antichi legami con Caltagirone, l'occhio severo di Guzzetti (ostile alle mosse di Mps), la partecipazione in Generali. L'ascendente del Mef sulla Poggi. Tutte le incognite di Palazzo Perrone
A via XX Settembre assicurano che non se n’è ancora parlato, almeno formalmente, ma è del tutto evidente che la Fondazione Crt non è un semplice spettatore del terremoto che sta investendo il sistema bancario e finanziario italiano. Se non altro perché l’ente torinese è, di riffa o di raffa, coinvolto nelle principali operazioni in corso. Controllando il 2,15% di Unicredit è assai interessata alla piega che prenderanno le due battaglie intraprese da Andrea Orcel su Commerzbank e Banco Bpm, peraltro dopo essere uscita nel febbraio dello scorso anno dall’istituto di Piazza Meda, cogliendo di sorpresa il
mercato e spiazzando le altre fondazioni con le quali aveva stretto un patto di consultazione in chiave difensiva in caso di attacchi dall’esterno in relazione al risiko bancario. La fondazione all’epoca guidata da Fabrizio Palenzona preferì sbarazzarsi dell’intera partecipazione (l’1,8%) nella banca guidata da Giuseppe Castagna. Una mossa, spiegata dal camionista di Tortona con l’esigenza di diversificare il portafoglio, ma che secondo alcuni analisti lasciava presagire imminenti manovre sullo scacchiere politico-finanziario, in vista di nuovi equilibri di potere.
Con i soldi incassati dalla cessione, 140 milioni di euro di cui 80 milioni di plusvalenza, Crt ha “consolidato” la “storica partecipazione di lungo termine in Generali” (2%), “così da accrescere il flusso di dividendi, che insieme ad Unicredit e Mundys costituiscono la parte più consistente delle risorse che mettiamo a disposizione del territorio”, spiegò Furbizio attorno al quale già stavano agitandosi trame che l’avrebbero portato alle dimissioni.
E qui arriviamo al secondo tempo di una partita in cui giocatori si scambiano di ruolo e spesso pure di squadra. Parliamo ovviamente della guerra per banche che ha il suo ultimo fronte di battaglia Mediobanca. L’offerta pubblica di scambio (Ops) lanciata da Mps è stata respinta dal Consiglio di amministrazione di Piazzetta Cuccia con parole dure: “Un’offerta ostile, non concordata e priva di razionale industriale e finanziario”, ha dichiarato il board guidato da Alberto Nagel. Ma tutti sanno che il vero obiettivo è Generali, “la cassaforte d’Italia” con oltre 800 miliardi di masse gestite. Con il supporto del 9,9% di azioni Mediobanca detenute da Caltagirone e del 19,7% in mano a Delfin, l’ad Luigi Lovaglio mira a mettere in gabbia il Leone di Trieste. L’intreccio è noto: nel capitale di Mediobanca Delfin ha una quota del 20% e Caltagirone del 7%, sulla base dello stacco del dividendo di novembre 2024; in Mps, la cassaforte guidata da Francesco Milleri è il primo azionista privato con il 10% mentre Caltagirone detiene il 5%, oltre ad avere il 5% di Anima Holding che a sua volta possiede il 4% di Mps; in Generali, infine, Delfin ha una partecipazione del 10% e Caltagirone del 7 per cento.
E qui torna il ballo Crt. Nel 2022, la Fondazione ha supportato la lista Caltagirone con Delfin e la famiglia Benetton nella battaglia per il Consiglio di amministrazione di Mediobanca. Era l’era della presidenza di Giovanni Quaglia che con l’allora segretario generale Massimo Lapucci aveva dato una fisionomia molto “interventista” all’ente: “Una sorta di merchant bank con i soldi destinati alla beneficenza con il principale scopo di collezionare poltrone”, secondo i detrattori.
Venendo all’oggi, è credibile che Anna Maria Poggi, la giurista ciellina dal 7 giugno scorso al timone della Crt, non abbia ancora definito la posizione, trovandosi al centro di opposte tensioni: “Ondeggia tra Scilla e Cariddi”, scherza una fonte informata. Da una parte il “sistema” Acri dominato dal grande vecchio Giuseppe Guzzetti (colui che ha evitato il commissariamento) che non gradisce il sostegno a Mps, dall’altra il governo che guarda con favore all’iniziativa dei nuovi “capitani coraggiosi” (sic) e che quasi sicuramente troverà nel direttore del Mef Marcello Sala la figura disponibile e in grado di “orientare” la Crt e spingerla nelle mani di Caltagirone, approfittando della condizione di debolezza “sub iudice” di Palazzo Perrone. Di certo voce in capitolo avrà lo storico lobbista di Caltagirone, Fabio Corsico, che è (stato) di casa nelle stanze di via XX Settembre: dal 2005 al 2017 nel cda, presidente del Comitato Investimenti e del Comitato Nomine e dal 2007 al 2017 vicepresidente di Fondazione Sviluppo & Crescita, successivamente nella Fondazione per l’Arte della Crt. L’appuntamento cruciale sarà l’assemblea dei soci Generali del prossimo 8 maggio che, come spiegano gli analisti, sarà una sorta di referendum, non solo sulla governance ma anche sul complesso riassetto del sistema. Che farà la Crt? Boh.