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La politica tira l'acqua al suo mulino: "bene in house" per la gestione

A Vercelli e Biella si discute sul nuovo gestore dell'acquedotto. I notabili locali vogliono la società pubblica, ma rischia di non avere la solidità per garantire un miliardo di investimenti. Iren pronta alla guerra legale. Il precedente di Cogesi a Cuneo

Un affidamento di qui a trent’anni dal valore di oltre un miliardo di euro; investimenti previsti che superano i 900 milioni e una querelle politica che si trascina dal 2023. Tra un mese la decisione definitiva (forse) al termine di lunghissime trattative e discussioni, tavoli e votazioni per individuare il soggetto che avrà il compito di gestire il servizio idrico integrato nel bacino che comprende il Casalese e le province di Vercelli e Biella, territori riuniti sotto l'autorità d'ambito Egato2. Gli investimenti sulla rete sono fondamentali per ridurre la dispersione, soprattutto ora che lunghi periodi di siccità minacciano campi e colture. A chi l’onere? È su questo che si arrovella dal dicembre del 2023 il commissario Andrea Fluttero, nominato dopo che, alla scadenza dell’affidamento, i comuni erano ancora ben lungi dall’individuare una soluzione.

Tre le possibilità: una gara secca che individui un gestore (tendenzialmente un privato) come avvenuto recentemente a Imperia, la costituzione di un soggetto pubblico-privato che attraverso una partnership industriale garantisca investimenti e dividendi, oppure un affidamento diretto a una società in house, interamente pubblica, con la quale tutti i municipi, per la loro parte, si assumeranno oneri e onori dell’operazione. “Non si tratta solo di gestire un servizio ma di mettere insieme cinque piccoli sistemi, composti da pozzi, acquedotti, fognature e depuratori” spiega Fluttero che nei giorni scorsi ha inviato una lettera ai sindaci per fare il punto della situazione a un mese dalla data del 28 febbraio, la deadline entro la quale “prenderò una decisione” assicura l’ex parlamentare.

Oggi infatti ci sono cinque soggetti che operano su quel territorio: il Cordar di Biella, il Cordar della Valsesia, il Sii che opera nella provincia di Vercelli e che è partecipato dal Consorzio Baraggia e per il 19 percento dalla torinese Smat, l’Am+ (Casale Monferrato e Valenza) e infine l’Asm Vercelli che è per il 60 percento di Iren e il restante 40 percento del Comune. Lo stesso Fluttero parla di “territori abituati alla frammentazione” per questo “difficili da inserire dentro un unico contenitore”. E infatti non riescono a mettersi d’accordo al punto che il commissario, nominato un anno fa, è già stato prorogato una volta lo scorso luglio. Trasversale la corrente politica di coloro che vogliono la società in house, scelta caldeggiata – a quanto riferisce una fonte autorevole – in primis dall’assessore regionale Matteo Marnati. Mentre è ascrivibile all’area del centrosinistra l’attuale amministratore delegato della Bcv Leonardo Gili.    

Insomma, c’è una maggioranza che considera la soluzione interamente pubblica quella migliore, ma i rischi e qualche precedente poco virtuoso creano delle preoccupazioni. Il primo che ha cercato di mettere qualche paletto è stato proprio il commissario, a partire dalla richiesta di trasformazione in Spa del consorzio Bcv, che raggruppa Cordar Biella, Cordar Valsesia, Am+ e Sii. Un’operazione per meglio affrontare le potenziali valutazioni del sistema bancario che dovrà sostenere gli investimenti previsti dal piano d’ambito. Non solo: sarà necessario che i consorzi “azionisti” di Bcv si fondano nel nuovo super consorzio garantendo “adeguata patrimonializzazione in ragione del conferimento degli asset” fa presente Fluttero. Insomma, non basta un nuovo contenitore, è necessario che questo abbia la solidità patrimoniale per andare in banca e ottenere una linea di credito a otto zeri. Non è semplice, ma non è tutto: in questo nuovo soggetto manca ancora il Comune di Vercelli, dove l’acquedotto è gestito da una società mista (Asm) controllata da Iren, che andrà liquidata per gli investimenti sin qui sostenuti e non ammortizzati qualora venisse esclusa dalla gestione. Si tratta di circa 50 milioni di euro e questo rischia di essere il primo compito di Bcv. Conviene? Il sindaco di Vercelli Roberto Scheda, così come il suo predecessore Andrea Corsaro, propende per una soluzione che tenga dentro il partner privato che finora ha garantito investimenti per 100 euro ad abitante, mentre in altre realtà – Biella e Valsesia su tutte, dove la rete fa decisamente acqua – si viaggia tra i 40 e i 50 euro.

Intanto si richia di precipitare in una battaglia legale. A oggi infatti non c’è un gestore in grado di servire tutto il bacino: Vercelli è fuori e finché non rientra a chi verrà affidato il servizio sul suolo comunale? Si potrebbe chiedere transitoriamente ai consorzi pubblici ma ad Asm, che è un gestore misto, non si può affidare nulla. Bisognerebbe poi giustificare il fatto che, nel frattempo, si rischia di perdere il treno di alcuni investimenti che dovranno essere recuperati più avanti. Ma soprattutto non si comprende il dirigismo di un’autorità d’ambito che “raccolta la volontà politica” tende ad assecondarla, nonostante le relazioni tecniche che – prima della presa di posizione dei notabili locali – consideravano l’affidamento in house la terza scelta.

Il rischio è di creare un consorzio che poi non abbia la solidità economica, le competenze e una governance per gestire un piano d’ambito ambizioso e oneroso. Con i vertici continuamente tirati per la giacchetta da questo o da quell’altro territorio. A Cuneo fa scuola Cogesi, consorzio in house nato nel 2019 ma che, a cinque anni di distanza, non ha ancora trovato i 70 milioni per liquidare Egea Acque, ora nel gruppo Iren, e quindi prendere in mano il servizio idrico nella provincia Granda. Di investimenti neanche a parlarne. E si torna alla domanda di un politico locale che osserva con disappunto: “Cui prodest?”.

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