SANITÀ

Sempre meno aspiranti infermieri.
In Piemonte ne mancano 6mila

Tra i meno pagati in Europa, quasi la metà ha più di 50 anni. A breve la curva pensionistica produrrà pesanti effetti sul sistema sanitario. Poche domande per i corsi di laurea. Bufalo (Ordine di Torino): "Così sale il rischio di scarsa selezione". La relazione del ministero

Poco meno della metà degli infermieri del servizio sanitario nazionale ha un’età compresa tra i 50 e i 59 anni e sono oltre 53mila quelli che nei prossimi anni raggiungeranno l’età per poter lasciare il lavoro. A fronte dell’approssimarsi di una curva pensionistica pronta a produrre i suoi pesanti effetti c’è un altro dato allarmante, emerso dall’Indagine conoscitiva presentata in Commissione Affari Sociali della Camera da Mariella Mainolfi, direttore generale delle professioni sanitarie del ministero della SaluteÈ il dato che attesta come il rapporto tra la domanda e l’offerta di posti nei corsi di laurea per infermieri sia appena di 1,1, praticamente un candidato per ogni posto e non uno di più. 

Se poi questo dato che rappresenta la media nazionale, lo si analizza ulteriormente si scopre che al Sud le domande per ogni posto sono di più, mentre al Nord molti corsi di laurea restano lontani dall’essere completati nel numero di iscritti. “Le poche domande rispetto ai posti disponibili nel corsi universitari rappresentano un problema”, avverte Ivan Bufalo, presidente dell’Ordine degli infermieri di Torino e del coordinamento regionale degli Ordini provinciali. “Va detto – spiega Bufalo – che poche richieste di iscrizione rispetto alla disponibilità riducono molto la selezione all’ingresso e questo è un problema serio. Dieci anni fa quando le domande erano il doppio dei posti, si ammettevano i migliori tra i selezionati, oggi questo non accade più e si presenta un rischio di abbassamento del livello”. 

Una questione che si presenta in maniera ancora più marcata proprio laddove, come al Nord dove l’attrattività della professione è minore rispetto al resto del Paese. In Piemonte alcuni corsi di laurea vedono una partecipazione a macchia di leopardo, con quello della Città della Salute per cui a fronte di circa 300 posti le domande sono un centinaio in più, ma altri corsi in alcune province non registrano abbastanza domande neppure per coprire l’offerta. Questo accade in una regione dove c’è una carenza di 6mila infermieri, ma se ne formano soltanto circa 400 all’anno a fronte di 500 che nello stesso periodo vanno in pensione e, come rimarca il presidente dell’Ordine, “i concorsi vedono sostanzialmente gli stessi infermieri che passano da un’azienda sanitaria all’altra” senza produrre quel notevole incremento di personale di cui c’è bisogno.

E che l’attrattività di questa professione stia calando in maniera decisa tra i giovani lo conferma ancora la relazione al Parlamento che tra le varie ragioni ne individua alcune di palese evidenza, come quella economica. L’Italia è al quattordicesimo posto per la remunerazione degli infermieri, che hanno stipendi superiori solo ai loro colleghi di LituaniaRepubblica CecaEstoniaUngheriaGreciaSlovacchia e Portogallo, ma guadagnano la metà di chi fa lo stesso lavoro in Lussemburgo, Belgio, Olanda e Germania. Fattore economico, ma anche “una professione che se fornisce uno stipendio di ingresso apprezzabile, non vede quasi possibilità di carriera e quindi di miglioramento economico fino all’uscita dal ciclo lavorativo”, osserva Bufalo. 

Nella stessa relazione alla Camera si legge che “è fondamentale far leva sulla motivazione dei professionisti, garantire l’autonomia e l’esercizio della responsabilità, investire sullo sviluppo delle competenze e sui percorsi di carriera, nonché promuovere il merito e riconoscere i risultati”. Un percorso che coincide con quello indicato anche dal presidente dell’Ordine degli infermieri di Torino quando sostiene che “non tocca alla Regione aumentare gli stipendi, certo può mettere qualche integrazione, ma il problema è nazionale. Ma la Regione, invece, può e dovrebbe creare la condizioni organizzative per elevare la qualità del lavoro dell’infermiere. In questo modo si può contribuire a inverture la rotta e a tornare a rendere attrattiva la professione”. Bufalo ricorda i modelli di assistenza personalizzata che si stanno sperimentando con ottimi esiti al Mauriziano così come al San Luigi di Orbassano “che hanno tra le varie finalità anche quella, per nulla marginale, di passare più tempo al letto del malato, di parlare col malato. Un aspetto che ricade positivamente sulla salute dei pazienti, ma che porta anche gli infermieri ad essere meno frustrati da un lavoro che, purtroppo, attrae sempre meno mentre di questi professionisti ce n’è e ce ne sarà sempre più bisogno”. 

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