Crt (e Poggi) alle prove Generali, guerra per banche e nuovo cda
07:00 Lunedì 03 Febbraio 2025Con la mossa di Unicredit sul Leone di Trieste arriva l'ora delle scelte per l'ente torinese. La difficile posizione della presidente con una neosegretaria a digiuno di finanza e un cda monco e nel ciclone giudiziario. Intanto iniziano le manovre per il rinnovo del board
Ora che l’ipotesi di sedere a Palazzo della Consulta, per sua stessa ammissione, è tramontata, Anna Maria Poggi può concentrarsi senza distrazioni sugli imminenti appuntamenti che attendono la Fondazione Crt. Come avevamo raccontato, la fugace comparsa del nome della giurista ciellina nella rosa, per la verità piuttosto pletorica, da cui pescare la figura “indipendente” della quaterna di nomina parlamentare, è parsa più frutto di velleità personali che una reale candidatura sorretta da un fronte accademico e istituzionale. Sia come sia, il tema non è più sul tavolo dove invece si affastellano questioni cruciali da affrontare, diventate impellenti dopo il terremoto che sta sconvolgendo il sistema finanziario del Paese.
Visto da Palazzo Perrone due sono i nodi principali, tra loro strettamente intrecciati. Anzitutto occorre definire la posizione della fondazione nella “guerra per banche” in corso: una partita che vede Crt, volente o nolente, tirata in causa in quanto azionista di Unicredit e di Generali. Doppiamente esposta dopo che l’istituto di piazza Gae Aulenti ha iniziato a rastrellare azioni del Leone di Trieste. L’auspicio formulato dalla Poggi a fine anno scorso di non ritrovarsi nelle condizioni di doversi schierare in conflitti come quello che avvenne tre anni prima sul cda di Generali – “Confido che non si ripetano quelle difficoltà. La Fondazione è per una soluzione che non porti a spaccature come quelle del passato” – è ampiamente superato e smentito dalla cogente attualità.
Al netto della lealtà nei confronti della banca conferitaria, non è peregrino supporre l’influenza che potrebbero esercitare, anche solo a livello informale, attori politici determinati a dare un preciso indirizzo al risiko bancario. Quell’autonomia “corretta e responsabile” rivendicata dalla presidente quanto riuscirà ad a essere impermeabile a centri di potere – pensiamo al Mef di Giancarlo Giorgetti (e del direttore Marcello Sala) – da cui è vigilata e da cui attende ancora decisioni definitive sulle sorti dell’ente? Come abbiamo spiegato Crt si ritrova a dover fare i conti da una parte con il “sistema” Acri, dominato dal grande vecchio Giuseppe Guzzetti (colui che ha evitato il commissariamento) che non gradisce il sostegno a Mps, dall’altra con il governo che guarda con favore all’iniziativa dei nuovi “capitani coraggiosi” (sic) e che potrebbe far leva sulla oggettiva condizione di debolezza per spingerla nelle braccia di Caltagirone e Milleri. Com’è evidente si tratta di una scelta di campo, di “strategia politica”, che però avrà inevitabili ripercussioni sul ruolo futuro di Crt nello scacchiere nazionale e non poche conseguenze anche sulle casse dell’ente. E qui arriviamo al secondo nodo.
La Fondazione è chiamata ad assumere decisioni di fondamentale importanza con un vertice reduce dalla ben nota bufera, quasi completamente a digiuno di esperienza finanziaria, governata da un ticket – Poggi e la neosegretaria generale Patrizia Polliotto – troppo “casalingo” per affrontare scenari così complessi. Una dimensione in cui nemmeno l’indiscussa competenza di Marco Casale, storico cfo, accorto custode della cassaforte di via XX Settembre, potrà fare molto. La sede naturale dovrebbe essere il Consiglio di amministrazione non fosse che da sei mesi il board è monco: dopo le dimissioni tra spontanee e “spintanee” di Davide Canavesio e Marco Giovannini sono rimasti in quattro (più la presidente) e tre di essi, Antonello Monti, Anna Maria Di Mascio e Caterina Bima, sono indagati dalla procura di Torino nell’inchiesta sul presunto patto occulto.
Mentre molti analisti avanzano dubbi, statuto alla mano, sulla legittimità delle decisioni assunte dal cda uscente a causa della sua composizione incompleta, gli occhi sono già rivolti alla primavera prossima quando il parlamentino dell’ente, il Consiglio di indirizzo, eleggerà il nuovo board. Particolarmente attivi risultano essere il cuneese Giuseppe Tardivo, coordinatore della commissione interna su Università, istruzione e ricerca, che si rivelò decisivo nell’assicurare a Fabrizio Palenzona la vittoria nella contesa contro Giovanni Quaglia, e il sempiterno Giampiero Leo, ciellino dalla lunga carriera politica e longa manus di Poggi in Cdi, oggi alla guida della commissione arte, cultura e welfare. In queste ultime ore avrebbero avviato una ricognizione dei potenziali candidati, prima per il posto rimasto vacante in Cdi a seguito dell’assunzione di Polliotto e successivamente per la rosa dei futuri componenti del
Cda. Ricomposta, almeno in parte, la frattura con Comune di Torino e Regione Piemonte attraverso l’abolizione delle terne, l’ulteriore atto di “pacificazione” potrebbe essere proprio quello di ripescare i due nomi “cari” a Stefano Lo Russo e Alberto Cirio a suo tempo clamorosamente bocciati: l’ex governatore e attuale presidente del Museo del cinema Enzo Ghigo (in quota Forza Italia) e Gianfranco Morgando, ex parlamentare, primo segretario regionale del Pd e padrino politico del sindaco.