In un anno via 20mila infermieri.
Esodo verso il privato e l'estero
Stefano Rizzi 07:00 Martedì 04 Febbraio 2025
Le uscite dal servizio sanitario pubblico nel 2024 sono cresciute del 170%. Stipendi bassi, ma anche turni pesanti e rischi di violenza alla base della fuga. Scelgono le cliniche e la libera professione. In zone di confine come in Piemonte diventano frontalieri
È il più grande esodo dalle corsie nella storia della sanità pubblica italiana, ma questo triste primato potrebbe essere addirittura presto superato. Nei soli primi nove mesi del 2024 oltre 20mila infermieri hanno rassegnato le dimissioni dal servizio sanitario per andare a svolgere altrove e con altri contratti la loro professione. Una fuga senza precedenti e che segna un’impennata addirittura del 170% rispetto al 2023 quando a lasciare il posto erano stati circa 8.500, mentre nel biennio 2021-2022 il fenomeno aveva riguardato 15.450 infermieri in tutto il Paese.
Questo scenario, come sostiene Antonio De Palma, presidente di Nursing Up, il sindacato che ha lanciato l’allarme diffondendo le cifre, “fa pensare a un malato abbandonato a se stesso, senza cure e sostentamento” e quel malato è proprio la sanità pubblica che rischia già a fine di quest’anno di contare più di 30mila abbandoni da parte degli infermieri che lavorano negli ospedali e sul territorio. “Senza un intervento immediato – è la tesi e nel contempo l’appello del sindacato – la sanità pubblica rischia di crollare su se stessa”.
A motivare la decisione di lasciare il posto nel servizio sanitario delle varie regioni c’è sicuramente il fattore economico, ma a questo si aggiungono talvolta con maggior peso le condizioni di lavoro, i turni e gli orari che se durante la lunga pandemia avevano portato una facile retorica a definire “angeli” gli infermieri, una volta terminata l’onda emozionale sono tornati in un cono d’ombra, spesso messi sul piatto della bilancia con i conti delle Asl da far quadrare.
Un recente studio di Nursing Up ha stilato la classifica delle ragioni alla base di quella che De Palma definisce “una disfatta” per la sanità pubblica. Al primo posto ci sono proprio turni insostenibili, carichi di lavoro eccessivi e reperibilità continue. Poi le retribuzioni basse che pongono gli infermieri italiani tra i peggio pagati in Europa, tanto da costringerli spesso a un indebitamento diffuso, terza voce dell’elenco dei motivi degli abbandoni. Pesano, inoltre, stress e violenze in aumento, una mancata valorizzazione professionale che porta il 98% della categoria a non sentirsi riconosciuto dalle istituzioni, così come incide il calo della vocazione con il 75% dei professionisti che sconsiglierebbe ai giovani di seguirne le orme.
Un dato, quello di un’attrattività della professione in calo, attestato appena pochi giorni fa dalla relazione di Mariella Mainolfi, direttore delle professioni sanitarie al ministero della Salute, dinanzi alla commissione Affari Sociali della Camera ove è emerso come spesso i posti nei corsi di laurea non vengano neppure completamente coperti con una domanda inferiore all’offerta.
Meno ingressi rispetto a ciò che richiederebbe non solo il turnover pensionistico, ma non di meno la necessità di colmare organici ben al di sotto della soglia minima. Solo in Piemonte dove gli iscritti all’Ordine sono oltre 31mila di cui la metà solo in provincia di Torino, il sistema sanitario regionale ne lamenta la carenza di 6mila. Ma proprio tra quei 31mila professionisti non sono pochi coloro che hanno già scelto di imboccare vie diverse da quelle della dipendenza dal servizio sanitario, optando per cliniche e strutture private dove anche a parità di stipendio, le condizioni di lavoro sono meno gravose. Oltre a chi sceglie di lavorare nelle Rsa è in crescita il numero di chi decide di esercitare la libera professione sia mettendosi a diretta disposizione dei pazienti, sia lavorando con strutture private sempre alla ricerca di professionalità di esperienza.
“Un ferrista specie con anni passati in reparti di eccellenza ed altissima specializzazione, non ha certo difficoltà a trovare lavoro anche come libero professionista”, spiega Ivan Bufalo, presidente dell’Ordine di Torino. Così come è ormai nota la migrazione, specie dai territori di confine, degli infermieri che diventano frontalieri dal Verbano e dall’Ossola verso la Svizzera trovano in un batter d’occhio lavoro e stipendi che superano il triplo di quelli in Italia. Più di una ragione, insomma, ad aver indotto oltre 20mila infermieri a lasciare, lo scorso anno, il posto nel servizio sanitario. E che potrebbero facilmente, nei prossimi mesi, essere alla base di un nuovo e ancor più pesante esodo.