Una giornata particolare

La legge n. 9 del 25 gennaio 2017 ha istituito la “Giornata nazionale delle vittime civili delle guerre”, individuando nel 1° febbraio il giorno della ricorrenza. L’iniziativa è nata con il fine di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sul dramma, feroce, che vivono i civili all’interno dei teatri di guerra.

Il primo giorno di febbraio di quest’anno, le facciate di Palazzo Chigi (che ospita il governo) e di Palazzo Madama (sede del Senato della Repubblica) sono state tinte di blu, grazie al sapiente uso di alcuni fari puntati sulle storiche facciate. Il desiderio di pacifismo della politica italiana è emerso per una notte, per poi dileguarsi del tutto con l’arrivo dell’alba del 2 febbraio.

Sono state sufficienti alcune dichiarazioni del segretario generale dell’Alleanza atlantica, riprese immediatamente dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri, per tornare alla realtà bellica di cui è ostaggio l’intera Unione Europea. I due alti funzionari si sono espressi all’unisono rimarcando, con grande convinzione, come sia importante per gli Stati membri investire soldi in armamenti: priorità che va perseguita anche a costo di ridurre le spese destinate al welfare. I leader dell’Europa ritengono sia oramai giunto il tempo di pensare solamente alla guerra.

Nessun deputato di Strasburgo, a quanto pare, ha avuto il coraggio di correggere la rotta di un’Europa che ha diretto la sua prua verso acque sempre più agitate mostrando, al contempo, una voglia incontenibile di alzare al cielo le proprie baionette. L’Italia, a causa del suo debito pubblico, sarà esentata dalla gara “di chi riempie prima gli arsenali”, ma l’industria bellica nostrana è ugualmente felice della competizione in atto, poiché ricchi profitti si annunciano all’orizzonte. Il Governo di Roma, infatti, non dovrà apportare ritocchi al Bilancio per accontentare la Nato, nonché gli Stati Uniti, sebbene di recente il Capo dell’Esercito abbia lanciato l’allarme: occorrono altri 40mila soldati e mezzi idonei a respingere un’invasione nemica. 

Osservando la mappa della Penisola è facile accorgersi come sia faticoso individuare un probabile invasore che valichi i nostri sacri confini. Francia, Austria, Svizzera e Slovenia non dovrebbero rappresentare una minaccia per l’Italia, a meno che non si voglia scongiurare un colpo di mano di Vienna, desiderosa di riacquisire le aree regionali sottratte dalle guerre risorgimentali, oppure un blitz della Francia, smaniosa di riavere i territori d’oltralpe (persi dopo l’assedio di Torino del 1706). Le altre nazioni sono distanti per cui, missili a parte, sembra impensabile possano organizzare un assalto a sorpresa delle nostre coste, oppure degli spartiacque alpini. Inoltre la Costituzione parla chiaro: l’Italia ripudia la guerra (art. 11). 

È invece preoccupante lo stato di crisi in cui versa attualmente la questione sociale, in Italia come nel resto d’Europa: pensare a un taglio delle spese a questa destinate, per riempire gli arsenali, potrebbe generare gravi tensioni all’interno di molti Stati dell’Unione. Il welfare è in crisi oramai da tempo, e il primo mandato di Ursula von der Leyen avrebbe dovuto contraddistinguersi per un incondizionato rilancio dei temi sociali: impegno utile soprattutto per contrastare l’avanzata delle Destre sovraniste e nazionaliste. Purtroppo, quello specifico punto del programma della Presidente della Commissione europea non è mai stato attuato, mentre, al contrario, sono state spese cifre enormi in armi e nelle azioni di contrasto delle attività definite “filorusse” (di cui uno degli artefici più attivi è la Vicepresidente del Parlamento europeo, Picierno, Pd).  

In Italia, più che in altri Paesi dell’Unione, si è assistito a un balzo in avanti dei livelli di povertà economica, la quale purtroppo interessa oramai milioni di nuclei familiari. Il sistema pensionistico non garantisce una vita dignitosa ai beneficiari (grazie ai mancati adeguamenti all’inflazione e a una tassazione devastante), mentre i salari non sono assolutamente allineati al costo della vita. Nel frattempo aumenta la schiera dei disoccupati, e i giovani sono obbligato a sostenere costi stellari per seguire corsi che permettano loro di superare test di ammissioni universitarie (sino a 7mila euro per medicina), concorsi vari ed esami di Stato. 

Un sistema sociale sempre più distante da quello che prima del ’90 caratterizzava le nazioni europee si appresta a fare i conti con la guerra, conflitto le cui cause sono lontanissime dai sentimenti dei cittadini, e sono i civili a pagare i prezzi più alti di questo clima prebellico (non ancora, fortunatamente, in temini di vittime sotto le macerie, ma certamente di caduti sotto i colpi della speculazione). 

A Bologna è stato chiuso un circolo ricreativo per fare spazio ad altre attività, secondo la versione ufficiale del Sindaco. In realtà, la colpa che ha pagato il centro sociale è stata quella di aver organizzato un dibattito con temi non allineati con le tesi propagandistiche nostrane, e per tale ragione è stato etichettato dalle autorità comunali, ed europee, come il luogo dove si organizzano attività propagandistiche a favore del nemico, ossia la Russia. Torna quindi prepotentemente nella società la parola “nemico” e, insieme ad essa, un triste sentore di caccia alle streghe: il riaffacciarsi in pompa magna del maccartismo. 

Riduzione della spesa sul sociale, unita alla censura e al riarmo, sono scelte che non aiutano la Sinistra a un ritorno in auge, ma in compenso portano voti e consenso a quella destra, estrema, che definisce Hitler un buon “comunista antisemita”. 

Soffiano i venti di guerra: speriamo che il prossimo primo febbraio la celebrazione della “Giornata nazionale delle vittime civili delle guerre” sensibilizzi soprattutto i governi (tutti i governi). Un palazzo illuminato di blu non è sufficiente a garantire ai popoli (tutti i popoli) un futuro senza bombe.

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