Per l'auto elettrica serve il nucleare

Parliamo di auto senza parlare di auto. Si, perché se vogliamo proiettarci nel futuro con l’auto elettrica dobbiamo guardare alla storia del nostro Paese dove le infrastrutture per lanciare l’auto come mezzo accessibile a tutti, si costruirono contemporaneamente alle quattro ruote. Tra il 1953 e il 1963 la popolazione torinese crebbe di circa 400mila unità superando il milione di abitanti; l’autostrada del sole fu costruita tra il 1956 e il 1964, la Torino-Milano nel 1932.

Oggi mancano ancora le stazioni di ricarica del Bev o Phev, a proposito dei motivi per cui l’elettrico non decolla. Partiamo dai numeri. In Italia oggi ci sono circa 22.700 stazioni di rifornimento. Se consideriamo che ogni benzinaio ha da 6 a 8 pompe, abbiamo una media di circa 150mila pompe di rifornimento che possono contemporaneamente erogare carburante. A settembre 2024 in Italia sono presenti circa 60mila punti di ricarica elettrica di cui oltre mille sulle autostrade. Al 2023, “solo l’1% del parco circolante italiano è elettrico, con una crescita sensibilmente più lenta rispetto ad altri paesi europei”. La nuova stima di Motus-E prevede tra i 3,7 e i 4,6 milioni di EV (Bev + Phev) circolanti al 2030 (in ribasso rispetto ai 5,3 milioni stimati nello studio 2021) e fino a 11,4 milioni al 2035. Tali stime ipotizzano la prosecuzione di politiche incentivanti nei primi anni dell’orizzonte di previsione (es. contributi all’acquisto e trattamento fiscale agevolato flotte aziendali).

Secondo uno studio per Motus-E della società Afry mettendo a confronto il costo delle tariffe elettriche per la ricarica di Germania, Spagna, Francia e Italia con cinque scenari diversi in tutti i casi le tariffe elettriche italiane sono le più costose. La Francia è dove costa meno sovente anche sette volte meno dell’Italia dove incide sopratutto il prezzo dell’energia depurato da tasse e oneri vari. Ricordo che in Francia, a gennaio 2025, sono attive in questa nazione 18 centrali elettronucleari che dispongono complessivamente di 57 reattori operativi. Si stima che la ricarica elettrica in Italia, tra pubblico e privato, assorbirà nel 2035 tra i 23-28 TWh. 

Dai dati pubblicati da Arera, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, nel 2022 il consumo di energia elettrica è stato di 297 TWh. La produzione nazionale, al lordo delle perdite, è stata pari a 286 TWh, mentre le importazioni sono state pari a 9,6 TWh. Apparentemente, la dipendenza dell’Italia dagli altri paesi sembra limitata. Ma la fonte principale da cui deriva la produzione di energia elettrica è infatti il gas naturale, comunque uno dei combustibili fossile più puliti.  

Nel 2022, esso contribuiva per il 48% alla produzione di energia elettrica. Mentre se si considerano altre fonti fossili come carbone e derivati del petrolio, la percentuale sale al 64%. Le fonti rinnovabili contribuiscono per il 34%, suddivise tra fotovoltaico ed idroelettrico per quasi il 10% ciascuno; l’eolico per il 7%, mentre i rifiuti e le biomasse per il 6%. Le fonti geotermiche svolgono un ruolo marginale. Il punto è che mentre le fonti rinnovabili sono nazionali, diverso è il caso del gas naturale che acquistiamo dall’estero.

Ricapitolando: c’è una parte politica – il centrosinistra – che non vuole utilizzare le fonti di energia fossile. Il Governo, recependo le istanze del mondo agricolo, ha vietato, su suolo agricolo, l’installazione di pannelli fotovoltaici a terra mentre è consentito l’agrivoltaico. Legambiente esprime forti perplessità, insieme alle aziende del settore. Trovo molto giusto vietare l’uso di terreno agricolo, coltivabile o forestale, per impianti fotovoltaici e mi stupisce che la sinistra ambientalista critichi tale scelta considerando non solo l’importanza della coltivazione agricola ma anche l’impatto ambientale dei pannelli. Intanto però la scelta delle fonti di energia si restringe mentre – come detto – la curva del consumo di energia elettrica è destinata a crescere con l’elettrificazione della mobilità. Dunque, per evitare ulteriore dipendenza dall’estero abbiamo due strade complementari come le fonti rinnovabili, nel rispetto del consumo del suolo agricolo, e il nucleare con i reattori di ultima generazione di cui NewCleo è una delle maggiori aziende, torinesi, come capacità progettuale  e realizzativa. E se la sinistra non riuscirà ad avere un approccio pragmatico a questa necessità allora rimarrà una sinistra conservativa, non innovativa, destinata all’opposizione. Ruolo che a molti fa più comodo del governare, peraltro.

L’energia, il suo costo, la sua produzione e diffusione sulla rete stradale sono il primo problema da affrontare verso la transizione ecologica della mobilità ma sembra un “non problema” e d’altra parte come ha dimostrato il Consiglio Regionale aperto di ieri a Torino sull’automotive, si è discusso di ammortizzatori sociali anziché di futuro con idee e scelte innovative. Ma si sa, la propaganda politica è più semplice e efficace del fare.

print_icon