Caccia all'unicorno
Juri Bossuto 07:00 Giovedì 13 Febbraio 2025
L’indifferenza assoluta che coglie gran parte dei cittadini, a Torino come nel resto d’Italia, è a dir poco allarmante. Nulla riesce a smuovere la coscienza collettiva, e sono saltuarie le vicende che generano curiosità tra gli elettori. La moda, la cui divulgazione è affidata a giovanissimi influencer, e i prodotti di consumo, destinati ai ricchi, accendono incontenibili emozioni anche nelle fasce reddituali vicine alla povertà assoluta, mentre i fatti di cronaca, e soprattutto di politica, cadono nel baratro dell’apatia generale.
Un tempo, tanti anni fa, sarebbe bastata una lettera dai toni severi contro l’operato dell’amministrazione pubblica, riportata nella rubrica di un quotidiano (come ad esempio Specchio dei Tempi), per scatenare il panico tra assessori e consiglieri di maggioranza. Nel caso in cui a quella lettera ne fossero seguite altre, allora la situazione per la Giunta, finita sotto i riflettori della carta stampata, diventava davvero critica. Le inchieste giornalistiche, invece, erano in grado di alimentare veri e propri maremoti dagli effetti imprevedibili, in seguito ai quali qualche politico, o funzionario, rischiava di dover rassegnare le proprie dimissioni.
In quell’epoca, che partiva dagli anni ’60 e arrivava a lambire il nuovo millennio, nelle procure operavano i cosiddetti “pretori d’assalto”, noti per la tenacia che li sosteneva quando affrontavano vicende che coinvolgevano lo Stato, mentre nelle redazioni abili giornalisti (assunti a temo indeterminato, come da buona prassi in voga in quei decenni) cercavano scoop da far deflagrare sulle prime pagine dei quotidiani nazionali.
Il giornalismo d’inchiesta componeva articoli che erano letti da un gran numero di persone. Gli editoriali, così come gli approfondimenti redazionali, diventavano commenti ad alta voce sorseggiando un caffè al bar, aspettando il proprio turno in coda alle Poste oppure agli sportelli dell’anagrafe: nasceva in questo modo un movimento di opinione pronto a riversarsi nelle piazze per invocare giustizia e cambiamento (soprattutto in città come Torino).
Di quella stagione rimane solamente un fievole ricordo, insieme a una tradizione portata avanti con fatica, e buona dose di coraggio, da alcune testate giornalistiche e rarissimi programmi televisivi. Purtroppo, oggi, gran parte delle notizie viaggiano in specifiche “bolle tematiche” all’interno dei social. Un mare di dati viene offerto, di norma, a coloro che coltivano già specifici interessi in merito agli argomenti trattati. Informazioni via web che non vanno ad incidere minimamente sul cosiddetto sapere critico: ognuno si bea per quanto sta leggendo, semplici conferme delle proprie convinzioni, e senza porsi il minimo dubbio sull’affidabilità delle fonti da cui giungono le notizie messe a disposizione.
In questo modo si spiega il disinteresse generale per il lavoro prodotto dalle pochissime realtà che ancora si dedicano all’inchiesta, quella vera. I cittadini, in generale, pure di fronte a reportage che denunciano abusi da parte della politica, oppure soprusi e corruzione, fanno spallucce: alcuni si indignano, altri non vanno più a votare, mentre la maggior parte continua semplicemente a farsi gli affari suoi. Una situazione idilliaca per il potere, qualsiasi matrice ideologica lo contraddistingua, poiché consapevole di poter fare tutto quello che vuole senza rischiare la benché minima conseguenza (anzi, dagli scandali derivano sondaggi ancor più favorevoli per il partito di turno che si è sporcato l’anima).
Negli ultimi tempi non scarseggiano di certo le notizie inerenti avvisi di garanzia, oppure fatti illeciti conclamati, riguardanti personaggi al vertice dello Stato, ma alle sfortune giudiziarie non seguono mai le dimissioni degli indagati, e tantomeno moti di indignazione popolare. Nemmeno le ingiustizie sociali smuovono alcunché: Sanità pubblica, pensioni e salari affondano nell’indifferenza di tutti.
Qualche giorno addietro la televisione ha trasmesso le immagini di Trump Jr. in divisa mimetica nell’atto di sparare ad alcune anatre che volavano libere sulla laguna veneta. L’erede del neo eletto Presidente Usa ha dichiarato, non celando una buona dose di soddisfazione personale, di aver abbattuto pure alcune anatre rare (come l’anatra Casarca). Scene di questo genere non si vedevano dall’epoca precedente la Rivoluzione francese; dai secoli in cui il ricco principe faceva tutto quello che voleva, sia a danno del popolo che della fauna presente nei suoi possedimenti.
La replica della autorità regionali venete, alle accuse di aver voluto assecondare i desideri venatori di Trump Jr., si concentra esclusivamente sull’aver rilasciato autorizzazioni regolari, sia al miliardario americano che al suo seguito. Vicenda (sempre che davvero sia tutto a norma di legge) che raffigura il quadro perfetto della tristissima stagione sociale in cui siamo drammaticamente immersi: i potenti fanno tutto ciò che vogliono, poiché favoriti dalle coscienze dormienti dei cittadini (su cui invece gravano telecamere e repressione).
Il silenzio delle popolazioni è il miglior sostegno a coloro che stanno sostituendo le fragili democrazie con i più robusti sistemi oligarchici. In Italia non si sente più muovere neppure una foglia: una quiete che riempie di gioia il potere di turno.
Ad inizio anno, le anatre sono cadute sotto i colpi delle doppiette e magari verso Natale prossimo verrà aperta pure la caccia all’unicorno. In qualche sartoria di lusso, artigiani esperti stanno già cucendo il costume raffigurante il mitico animale, mentre, al contempo, viene dichiarata aperta la selezione dei sudditi candidati ad indossarlo (requisito fondamentale: correre veloci).