Così, tanto per sport

“Torino cambia” è lo slogan che accompagna i cantieri avviati grazie ai fondi del Pnrr, i contributi nazionali e quelli provenienti dall’Unione Europea. L’elenco delle opere interessate è davvero lungo, e offre una varietà che contempla la riqualificazione di edifici scolastici, la manutenzione straordinaria del Parco del Valentino e interventi nelle biblioteche pubbliche, nonché negli impianti sportivi. 

Tali investimenti sono ossigeno per la città italiana più soffocata dal debito. Torino è notoriamente in deficit grazie ad azzardati investimenti nei cosiddetti titoli “derivati”, nonché in seguito alla voragine finanziaria creata dalle Olimpiade di Torino 2006. Un debito che sostanzialmente paralizza la città in alcuni importanti settori, tra cui quelli delle manutenzioni ordinarie e straordinarie. L’ex capitale d’Italia, infatti, fatica molto a programmare interventi che vadano oltre il minimo indispensabile, con il conseguente abbandono delle periferie e la privatizzazione dei beni comunali.

Lo Sport è tra gli ambiti inclusi in “Torino cambia”, e fornisce, seppur involontariamente, un lampante esempio di come non cambi davvero nulla nel capoluogo piemontese. La città vanta centinaia di impianti sportivi, di cui solamente una cinquantina sono ancora a gestione diretta, ossia nella piena disponibilità del comune, che apre e chiude i loro battenti tramite personale interno. La gran parte invece è data in concessione a terzi (con il rilascio di concessioni pluriannuali), così come sono dati in concessione temporanea gli spazi delle palestre scolastiche, naturalmente negli orari in cui non sono occupate dalle classi. Al quadro, per essere completo, devono essere aggiunte le piscine abbandonate a causa dei costi di manutenzioni, e che versano in condizioni tali da non essere minimamente attrattive neppure per i privati.

A Torino, nel tempo, si è creata una situazione difficilmente riscontrabile in altre metropoli della Penisola: sia le assegnazioni di lunga durata che quelle più brevi interessano, sovente, realtà che sono immutabili nel tempo. Non è raro osservare soggetti che gestiscono più di un impianto pubblico, e da un arco di tempo che supera di gran lunga la vita di una giunta comunale. In questo modo nascono vere e proprie posizioni dominanti, le quali percepiscono la concessione al pari di una proprietà privata interdetta soprattutto alle classi sociali più deboli. 

In sintesi, il comune favorisce il fenomeno della balnearizzazione delle sue strutture sportive. Infatti, come avviene negli stabilimenti balneari ad opera delle capitanerie di porto, la città affida per decenni una buona parte del proprio patrimonio immobiliare a privati, i quali avviano al loro interno attività di carattere prettamente commerciale. Sparisce così la funzione sociale dello sport, mentre fa il suo ingresso trionfale il business.

Esattamente come per le spiagge demaniali, le palestre, le piscine e i campi della città sono oggetto di gestioni aziendali che falsano il principio di libera concorrenza. Il comune, inoltre, sostiene con forza i concessionari addebitando le loro utenze a tutti i cittadini: beneficio offerto in cambio della realizzazione di attività sociali che raramente vengono attuate. Al contrario, un privato non titolare di concessione comunale, o circoscrizionale, deve acquisire le strutture (in affitto o proprietà) e caricarsi interamente i costi del riscaldamento di acqua (piscine) e locali, nonché della luce. 

Malgrado questo perverso meccanismo, in cui pochi prendono tutti gli spazi, alcune realtà di base continuano ugualmente, seppur tra mille difficoltà, a promuovere le discipline sportive (comprese quelle definite “minori”) ottenendo anche ottimi risultati. Un esempio giunge dal Circolo della Scherma Ramon Fonst asd, realtà di Mirafiori Sud, che ha rappresentato tutto il Piemonte, tramite un suo fiorettista, al Fencing Grand prix Torino (prestigiosa manifestazione internazionale di scherma). Gli atleti del Circolo si allenano in una palestra, riadattata a tal uso, situata in uno dei tipici corridoi scolastici degli anni ’70 (quindi non in una villa settecentesca) mettendoci quotidianamente energia, passione, e mostrando nelle gare internazionali l’orgoglio di essere parte di un territorio e di tutta la sua comunità.  

Gli atti di concessione sono espliciti nell’elencare diritti e doveri dei concessionari, ma spesso questi ultimi si occupano solo dei propri diritti (schivando abilmente i doveri), guardandosi bene dall’evidenziare, tramite targhe o altra comunicazione, che gestiscono un bene comune (ossia di tutti). 

Torino, città sempre in cerca di far cassa, potrebbe incrementare le proprie entrate di bilancio mettendo in vendita il suo patrimonio sportivo: alienazione (invisa a chi scrive) da cui deriverebbe sia un sostegno alla libera concorrenza, con la conseguente fine di alcune situazioni “protette”, che una privatizzazione reale a fronte di quella che attualmente è già una privatizzazione di fatto (situazione di comodo per tanti concessionari).

Altrove, in Italia e soprattutto oltre confine, lo sport è gratuito poiché patrimonio collettivo: un’utopia per Torino, città dove gli abitanti saldano le bollette di impianti in cui non possono accedere se non pagando regolare biglietto (oltre il danno, la beffa).

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