Ma che c'entra il Jobs Act?

Si guarda al passato perché non si ha il coraggio di affrontare un futuro complesso. Mi pare la sindrome di chi sostiene i referendum sul Jobs Act. Siamo in un periodo fuori dagli schemi classici per cui è possibile che si voglia fuggire dalla realtà guardando a iniziative ininfluenti e magari anche in contraddizione con la propria storia. Bisogna invece mettere insieme scenari mondiali e risposte locali ovvero il famoso “glocal” per tutelare esigenze e sofferenze di chi deve mettere insieme il “pranzo con la cena” che sono i costi delle bollette, le lungaggini della sanità pubblica, un fisco ingiusto, l’inflazione che vorrebbe ripartire, i dazi che colpiranno da oltre oceano.

I referendum sul Jobs Act sono solo una resa dei conti interna alla sinistra, un’abiura richiesta dalla Cgil al Pd, un inutile esercizio demagogico privo di effetti o meglio con effetti negativi in caso di abrogazione di quella riforma, ma sostanzialmente non inciderà sulla vita delle lavoratrici e lavoratori e sulle loro necessità primarie. L’altro effetto sarà di destabilizzare ancora di più una parte del centrosinistra che quella legge sostenne unanimemente ma forse Maurizio Landini e la Cgil è proprio ciò che vogliono.

D’altra parte, come chiaramente dice Raffaele Morese, sia la Cgil che la Cisl, gli uni con i referendum e gli altri con la Legge di iniziativa popolare sulla Partecipazione dei lavoratori alle imprese stanno privilegiando la via “istituzionale” rispetto a quella dell’autonomia contrattuale. Cgil e Cisl potevano ricercare un punto unificante, benché più istituzionale che contrattuale, attraverso due proposte non contrapposte ma complementari come la legge sulla Rappresentanza nei luoghi di lavoro della Cgil e la legge sulla Partecipazione nelle imprese della Cisl.

Il risultato finale e che conferma la pericolosità di affidarsi alla politica perdendo l’autonomia sindacale contrattuale è lo stravolgimento in Commissione parlamentare della proposta di legge della Cisl. Lodevole lo sforzo, solitario, della senatrice Annamaria Furlan, ex segretaria generale Cisl nel difendere la legge e chiedere al Pd di sostenerla anche se ormai diversa dalla proposta iniziale ma considerandolo, comunque, un primo passo.

Tutto questo conferma un dato: quanto oggi le organizzazioni sindacali siano distratte dai problemi reali e quali strade tortuose abbiano intrapreso per tutelare i lavoratori allontanandosi dai fondamentali della contrattazione tra le parti. Dentro un contesto che lascia molte perplessità sull’azione sindacale emerge, netta, la lettera della segretaria generale della Cisl, Daniela Fumarola, rivolta a una totale adesione alla manifestazione per l’Europa Unita del 15 marzo con sostegno incondizionato all’Ucraina, alla sua lotta per la libertà contro l’aggressione russa del dittatore Putin. E non era scontato considerati gli ammiccamenti a Giorgia Meloni sin qui visti nella casa Cislina.

Un Europa forte superando l’unanimismo che blocca ogni scelta; un Europa per una pace giusta e sicura, non la resa degli Ucraini agli aggressori; un Europa forte e unita economicamente, socialmente non può ignorare il tema della difesa considerata l’aggressione che sta subendo l’Ucraina e le possibili future minacce ai confini europei dettati dalla politica imperiale di Putin. Ci si dimentica spesso che la democrazia è sempre nata da conflitti, guerre civili, guerre di liberazione dalle dittature o da aggressioni imperialiste o coloniali. I diritti sociali, le tutele civili a partire dai più deboli poggiano, come la nostra Costituzione, su lotte di liberazione armate. Ecco perché è irrinunciabile per tutelare le nostre conquiste sociali un sistema di difesa europeo.

Per essere efficienti non è necessario avere tutti lo stesso caccia intercettore o carro armato o cannone ma integrare i sistemi d’arma. Tutto ciò sarà compensato dalla produzione che dovrà avvenire nei Paesi europei, giacché nel rapporto sulla competitività Mario Draghi afferma che il 78% degli acquisti di sistemi d’arma avviene fuori dall’Europa  e di questi il 63% dagli Stati Uniti.

Contemporaneamente occorre sviluppare ogni possibilità per alleviare i “costi del vivere” a partire dai ceti più deboli e difendere la nostra struttura delle imprese. Il tema del costo dell’energia è priorità assoluta. Non è più tempo di indugiare anche sull’energia nucleare. I referendum  del 1987 e del 2011 sono ormai fuori dalla storia, dal contesto attuale, la volontà popolare va rispettata ma si può dire che è “passato un secolo” e i progressi della scienza, della tecnica e i cambiamenti politici e sociali nonché economici impongono un cambiamento a favore di un’energia che ormai è definibile pulita.

La terza questione dirimente su cui la Commissione europea lancia segnali distensivi è la crisi dell’automotive. Le anticipazioni confermano che prevarrà il concetto della neutralità tecnologica per cui se la priorità è abbattere le emissioni di Co2, non importa come, ma se lo fai. Questa fondamentale nuova impostazione, insieme alla revisione delle scadenze verso l’elettrico e alla diluizione del tempistica del fattore multe, pongono le basi per una ripartenza del settore automotive.

Difesa comune, energia (e) nucleare, automotive: sono i tre temi portanti europei su cui una classe dirigente politica e sindacale con una visione deve lavorare per dare risposte al Paese, al mondo che lavora e produce, ai giovani che verranno e che sono il nostro futuro. E cosa fa una parte della sinistra e del sindacato? Pensa ai referendum sul Jobs Act.

 

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