Capigruppo trumpiani per la Lega.
Salvini "liquida" Molinari e Romeo
Stefano Rizzi 07:00 Mercoledì 05 Marzo 2025
Il segretario vuole far fuori i presidenti di deputati e senatori sostituendoli con due fan del presidente Usa ed euroscettici: Candiani e Borghi. Prima del congresso? Al Nord il partito è in subbuglio, ma non si andrà oltre (come sempre)
La questione non è se, ma quando. La giubilazione dei capigruppo di Camera e Senato, ormai nella testa di Matteo Salvini è cosa fatta, gli resta solo da capire quando sia meglio farla. L’insofferenza del leader della Lega nei confronti di Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo è meno evidente e palesata solo al confronto con la sua passione sfrenata per Donald Trump, tanto per citare uno degli elementi su cui si misura sempre più la distanza rispetto alla due figure apicali del partito a Montecitorio e Palazzo Madama.
La forza centrifuga dei due, entrati nella Lega con i calzoni corti e cresciuti insieme e a fianco del futuro leader, ha subito una decisa accelerazione nelle ultime settimane anche se da tempo i rapporti con il segretario sempre più artefice e interprete di una linea nazionalista e pesantemente spostata a destra non erano più quelli di prima. E non proprio da ieri, infatti, il Capitano accarezza ruvidamente l’idea di un cambio ai vertici dei gruppi parlamentari. Oggi pare sia già arrivato al punto di avere pronti i sostituti, pescati ovviamente tra i suoi fedelissimi di ora e interpreti del trumpismo turboliberista e antieuropeista in salsa (ex)padana fin dalla prima ora.
Al posto di Molinari, Salvini pare sia pronto a piazzare Stefano Candiani, due legislature al Senato, imprenditore nel packaging per industria dei profumi che quando sente odore di Europa incomincia a starnutire. “Trump è macho – rivela – e l’Italia deve mettersi sotto il suo cappello, perché l’Unione Europea è tossica”. Chi meglio dell’agiografo lombardo di The Donald potrebbe incarnare il ribaltone interno con lo spodestamento del (fin troppo) moderato Molinari? Cosa il Mol pensi dell’inquilino della Casa Bianca così della inarrestabile deriva destrorsa di Salvini è noto a tutti da tempo, ma l’averlo rivelato sia pure nell’ormai noto retroscena ha fatto uscire il fumo dalle orecchie al segretario. E di certo la parvenza di smentita non è servita a far cambiare idea a Salvini che già quando si trattò di riconfermare Molinari alla presidenza del gruppo a inizio legislatura lo aveva fatto senza troppo trasporto, ma rinfrancato dall’aver evitato di vederselo alla presidenza della Camera al posto di un altro fedelissimo con scappellamento a tutta destra come Lorenzo Fontana.
In quell’occasione molti vedono il momento in cui il termometro ha segnato un forte abbassamento nel rapporto tra il leader e il suo primo (insieme a Edoardo Rixi) vicesegretario nell’ormai lontano 2013, uno che non ha tentennamenti quando deve pronunciare la parola “fascisti”, tantomeno quando come ogni anno celebra il 25 Aprile, senza mai aver relegato in soffitta i ricordi del rito dell’ampolla con Umberto Bossi alle sorgenti del Po. Riccardo sì, ma non Cuor di Leone giacché nella Lega, a dispetto di epidemie di mal di pancia verso il segretario, non se ne vede uno. E difficilmente lo si vedrà anche in questo ricambio in odor di purga.
La spiegazione che il segretario avrebbe in animo non brilla né per originalità, né per coerenza. Salvini, motiverebbe la sua scelta col fatto che Molinari è segretario del partito in una regione importante del Nord come il Piemonte, ripetendo la solfa anche per Romeo eletto in Lombardia in spregio agli schemi del Capitano. Indicare l’esigenza di non sommare incarichi pesanti detto da uno che guida monarchicamente un partito, fa il ministro e pure il vicepremier suona come le unghie di un gatto su uno specchio. Ma tant’è, Salvini sa che dare spiegazioni in un partito come quello che ha plasmato negli ultimi anni è un di più.
Quasi come il congresso che lo riconfermerà e che ha deciso si svolgerà il 5 e 6 aprile a Firenze, sede che pur non arrivando a una scelta sudista, certo non par dare segnali a quel Nord sempre meno nell’agenda del segretario e dei suoi più stretti interpreti della linea. Come Claudio Borghi, uno dei più trumpiani tra i fan del presidente degli Stati Uniti all’interno della Lega e da sempre fieramente euroscettico (per usare un eufemismo), destinato a sostituire Romeo nella guida dei senatori leghisti. “Con Trump ha vinto il sovranismo” esultava festeggiando l’insediamento del tycoon alla Casa Bianca. E seguendone pedissequamente il modello era arrivato, lui no vax convinto durante la pandemia insieme al sodale Alberto Bagnai, addirittura a proporre un disegno di legge per l’uscita dell’Italia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Da responsabile economico del partito, Borghi avvisa: “Sui dazi l’Italia deve trattare da sola con gli Stati Uniti, con l’Europa sarebbe più debole”. Lui in Europa ha provato ad andarci, ma le 11mila preferenze non sono bastate. “Se eletto lascerò il Senato – aveva detto – per cambiare l’Europa”.