A Torino manca il capitale... umano. Un cervello per (ri)pensare la città
Oscar Serra 18:12 Giovedì 06 Marzo 2025Servono politiche di inclusione e opportunità per attrarre nuovi cittadini non solo turisti. Il problema della governance del territorio: "I vari enti non si parlano tra di loro, manca una strategia comune". Il saggio scritto da Donna e Davico
“Parlumne, dumse da fe’ ansema e per una volta Esageroma”. Se una ricetta esiste per rilanciare l’area metropolitana di Torino, Giorgio Donna la declina in piemontese. Tre imperativi per tratteggiare una strategia raccolta nelle 244 pagine di “Capitale Umano”, il saggio scritto a quattro mani con il ricercatore Luca Davico, edito dall’associazione Osservatorio 21, che domani (ore 18) sarà presentato al Circolo dei lettori. Un capitale umano, titolo di un celebre film di Virzì datato 2013, che “bisogna attrarre, trattenere, includere, riqualificare e formare” in una città che soffre più di altre l’inverno demografico, che vede scappare i pochi giovani che la abitano e che fatica enormemente a fare sistema. Azioni in ordine sparso che non costituiscono una strategia corale. “Serve una governance adeguata, una cabina di regia che peraltro avevamo e che siamo stati abili prima a depotenziare e poi a cancellare” dice il professor Donna, una carriera accademica in alcuni dei più prestigiosi atenei italiani e assessore a Bilancio e Pianificazione durante le prima pionieristica giunta di Valentino Castellani. Il suo riferimento è all’associazione Torino Internazionale, che in qualche modo – e lo racconta nel libro – deve rinascere seppur con altri nomi e funzioni.
Torino ha bisogno di teste e braccia. Il calo demografico è il dato di fatto da cui partire, causa e conseguenza di un declino che coinvolge la vecchia locomotiva d’Italia: i giovani under 25 che nel 2013 erano 185mila dieci anni dopo erano 172mila. La fascia dei giovani adulti, 25-44 anni, è calata in dieci anni del 18%. “La prima necessità che abbiamo è quella di attrarre giovani e creare le condizioni perché accettino di rimanere” spiega Donna allo Spiffero. Poi aggiunge: “A Torino dobbiamo chiarire il concetto di città attrattiva poiché attrarre turisti è diverso che attrarre cittadini. Dalle nostre interviste emerge come i giovani che vengono a Torino vorrebbero rimanerci ma non trovano adeguate opportunità; servono politiche di inclusione perché oggi, per esempio, gli studenti fuorisede non sono riconosciuti come categoria d’interesse per la città. L'ambiente torinese sembra nei fatti refrattario a una loro vera inclusione”. Oggi le uniche due città italiane realmente inclusive e che vedono aumentare i loro giovani nonostante il calo delle nascite sono Bologna e Milano.
L’area metropolitana di Torino è la più estesa d’Italia, la quarta per popolazione eppure tra i suoi principali limiti c’è la sua incapacità di vedersi come un territorio unico. “Le separazioni comunali sono convenzioni superate, i grandi temi strategici – spiega il professor Donna – hanno dimensione metropolitana ma il problema è che l’autorità che governa questo vasto territorio, cioè la Città Metropolitana, è molto più debole rispetto al Comune per competenze e risorse”. Il tema della governance è un altro pilastro su cui poggia il rilancio di Torino che fatica a fare sistema con gli altri principali attori del territorio: Comune, Città Metropolitana, Regione, i due atenei, le fondazioni bancarie, l’Unione industriali. Sono questi gli otto soggetti che dovrebbero fare parte di questa agenzia che pensa la Torino del futuro. “Finora il problema è stato l’assenza di un coordinamento, l’incapacità di fare sistema – prosegue Donna nella sua riflessione –. Ognuno si occupa del suo pezzo, facendo fronte ai problemi che pone la contingenza”.
“Parlare, darsi da fare e – se possibile – esagerare”. Come? Qualche leva su cui puntare Torino ancora ce l’ha. Se nell’istruzione di base non brilla (nelle prove Invalsi va dal 4° al 7° posto rispetto alle altre aree metropolitane italiane, dove neanche a dirlo le migliori sono Bologna e Milano), l’alta formazione terziaria professionalizzante “è il nostro fiore all’occhiello, qui siamo i campioni d’Italia nonostante un certo snobismo culturale faccia da freno a questi percorsi formativi ritenuti da molti di serie B”. Sono i cosiddetti Its che in Italia coinvolgono qualche decina di migliaia di persone, mentre in Germani arrivano a 900mila. E proprio questi percorsi potrebbero attenuare il mismatch tra domanda e offerta nel mondo del lavoro. C’è infine il tema del trasferimento tecnologico “se solo riuscissimo a mettere a sistema i tanti centri interdipartimentali delle nostre università, il neonato Ai4i, l’EnviPark: tutti attori che possono diventare valore aggiunto se li facciamo lavorare insieme”.