"Ero con Mara Cagol alla Spiotta". L'ex Br confessa dopo 50 anni
Stefano Rizzi 14:23 Martedì 11 Marzo 2025Prima di venire inchiodato dalle prove, Azzolini ammette di essere il brigatista fuggito dopo il conflitto a fuoco sulle alture di Acqui Terme nel 1975. Ma ne approfitta per fornire la "sua" verità: "Si era arresa". I terroristi avevano sequestrato l'imprenditore Gancia - DOCUMENTO
“Alla cascina Spiotta io c’ero”. Lauro Azzolini lo confessa cinquant’anni dopo lo scontro a fuoco delle Brigate Rosse con i carabinieri e poche ore prima che prove e testimonianze lo inchiodino a quelle responsabilità che per mezzo secolo ha cercato di nascondere. “Ho deciso di raccontare quello che quel giorno è successo prima che il processo abbia inizio”, ha detto nella dichiarazione spontanea di fronte alla Corte d’Assise di Alessandria chiamata a giudicare, insieme a lui, anche Renato Curcio e Mario Moretti per la morte dell’appuntato dell’Arma Giovanni D’Alfonso, ucciso dai terroristi quel 5 giugno del 1975 sulle alture di Acqui Terme dove i brigatisti tenevano sequestrato l’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia per intascare un riscatto miliardario da usare come autofinanziamento.
Proprio al figlio di D’Alfonso si deve la riapertura del caso e il processo basato su nuove prove che inchiodano Azzolini, oggi 82enne, e confermano le voci che, fin dall’inizio, avevano indicato in lui il brigatista che era riuscito a fuggire, mentre sul prato della cascina era rimasto il corpo di Mara Cagol, compagna di Curcio. Azzolini ammette ora quel che ha nascosto anche ben dopo la fine degli anni di piombo e che – è lecito supporre – avrebbe continuato a farlo fino alla fine dei suoi giorni. Oggi spiega la sua decisione con il voler evitare prima lo facciano altri “perché io sono l'unico che ha visto quello che quel giorno è davvero successo”. No, non è l’unico. Azzolini è rimasto l’unico ad avere visto quel che accadde quel giorno in cui i carabinieri festeggiavano la loro protettrice Virgo Fidelis e dalla caserma di Acqui Terme, comandata da un giovane tenente genovese, Umberto Rocca, partì solo la Fiat 127 dell’Arma (non un’auto civetta, ma ben riconoscibile), con a bordo lo stesso Rocca, il maresciallo Rosario Cattafi, l’appuntato D’Alfonso e il parigrado Pietro Barberis. Altro che blitz.
Oggi Azzolini racconta che “ho sentito dire che saremmo stati istruiti e addestrati per cosa fare in quel caso ma non è vero, non sapevamo cosa fare perché non era mai successo. Vi fu un’improvvisazione di tutto sul momento quello che ricordo è che decidemmo di fuggire abbandonando l’ostaggio, la confusione era assoluta, sapevamo che ad attenderci fuori c’erano i carabinieri, raccogliemmo carte e bagagli frastornati, poi tutto precipitò”. Una verità quella del brigatista rimasto nell’ombra per mezzo secolo che fa a pugni con le molteplici testimonianze, compreso il racconto fatto mille volte dal tenente Rocca poi promosso generale e scomparso solo pochi anni fa. Quando i carabinieri arrivano nessuno risponde a loro che bussano, ma in casa una radio accesa rivela la presenza, un’imposta di una finestra si solleva appena. E appena Rocca riesce vedere quell’oggetto che vola verso di lui. “Bomba” grida Cattafi, l’ufficiale alza il braccio, la bomba a mano glielo trancia e gli porta via pure un occhio. “Bombe leggere, lanciate senza mira”, dice adesso Azzolini.
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Parole che lasciano il figlio di D’Alfonso “sconcertato”, come riferisce l’avvocato di parte civile Sergio Favretto. “Cinquant'anni anni di silenzio lasciano un segno fortissimo. Questa – ha detto il legale riferendosi alle dichiarazioni di Azzolini – è una novità assoluta, ma arriva dopo 50 anni e tre anni di lavoro della procura di Torino che ha inchiodato gli imputati. Quindi l’ammissione di oggi avviene perché ci sono prove inconfutabili, che giungono dalle impronte digitali e dalle intercettazioni”.
Nella sua ricostruzione dei fatti che portarono alla liberazione dell’ostaggio, l’ex Br si sofferma molto sulla figura della Cagol e fornisce una altrettanto sua versione della morte della compagna di Curcio. “L'ultima immagine che ho di Mara, che non dimenticherò mai, è di lei ancora viva che si era arresa con entrambe le braccia alzate, disarmata, e urlava non sparare. Vi fu la resa nostra. Uscito dalla mia vettura mi affiancai a Mara che era già sul prato. Notai che sanguinava da un braccio. Le chiesi se era ferita mi disse di sì, ma che non era niente e che se c’era l'occasione, bisognava tentare ancora di fuggire. Le risposi che avevo ancora una srcm. Al suo cenno la lanciai e mi misi a correre corso il bosco convinto che Maria mi avrebbe seguito”. “Raggiunto il bosco – prosegue il racconto nella versione di Azzolini – mi accorsi che lei non c’era e allora guardai verso il prato della cascina e l’ultima immagine che ho di Mara, che non dimenticherò mai, è di lei ancora viva che si era arresa con entrambe le braccia alzate, disarmata, e urlava non sparare. Ho continuato a correre senza guardarmi indietro fino a raggiungere una zona distante quando sentii due spari, continuai a correre per ore cercando un nascondiglio sicuro per aspettare la notte, ero solo. Il giorno dopo seppi che Mara era morta su quel prato, lo sconcerto, il dolore mi ha attraversato come una lama”.
Un racconto quello dove ancora Azzolini non ha sciolto dubbi e fornito certezze sulla morte dell’appuntato D’Alfonso, che nessuno dall’altra parte può oggi confutare. Sono tutti morti, ormai. Ci sono le carte, le testimonianze, i racconti fatti appena dopo, ma anche molti anni di distanza dai fatti. Oggi il brigatista che era alla Spiotta dice che “con il rispetto anche per quei due morti che non avrebbero dovuto esserci non ho più potuto tornare indietro. Capisco che oggi questo sembrerà paradossale ma allora per la mia coscienza di classe ha significato assumermi la responsabilità della scelta fatta”. Di stare dalla parte sbagliata, ma anche di aver taciuto per mezzo secolo la sua presenza alla cascina Spiotta. Decidendo di ammetterla quando ormai non poteva fare altrimenti. E raccontando la “sua” verità quando ormai nessuno di chi stava dalla parte giusta quel giorno potesse guardarlo negli occhi.