Ora l'Europa giochi in Difesa

Le due questioni prioritarie dell’Europa riguardano Torino molto da vicino: il Piano automotive e un sistema di difesa e dello spazio comune. Rilanciare l’industria della difesa europea non significa “armarsi per fare la guerra”. Significa deterrenza, equilibrio e tutela verso un’eventuale aggressione. Lo stesso motivo per cui teniamo un antifurto sull’auto. Oltretutto siamo già armati ma non abbiamo un’autonomia europea nella difesa perché ci affidiamo allo scudo Nato che dipende dagli Usa. Deterrenza era anche la politica dei due blocchi, servirebbe riflettere su cos’era la pace prima del crollo del blocco sovietico e del muro di Berlino e la storia successiva. Un esercito europeo di deterrenza, cioè difensivo, significa investire in sistemi d’arma affinché l’Europa sia difesa dagli europei, senza dipendere da altri. E l’eventuale aggressore non ti minaccia se sa che ci rimette ad aggredirti. 

Abbiamo già molte forme di cooperazione dei vari eserciti ma non una difesa europea e faccio una lunga citazione dalla rivista Difesa Online per un riepilogo storico: “Del dotarsi di un esercito europeo si parlò già nei primi anni Cinquanta del secolo scorso, quando il Piano Pleven – dal nome dell’ex primo ministro francese, René Pleven principale sostenitore assieme ad Alcide De Gasperi della costituzione di una Comunità Europea di Difesa (CED) – fu affossato in seguito alla mancata ratifica francese del Trattato nel 1954. L’anno seguente, l’ingresso della Germania nella Nato finì col risolvere la questione del riarmo tedesco che aveva stimolato la proposta della Ced. Sebbene attualmente l’Unione Europea non disponga di un proprio esercito, negli ultimi trent’anni sono stati compiuti diversi passi verso una maggiore cooperazione in materia di difesa comune. La prima forza multinazionale a livello di corpo d’armata è stata rappresentata dagli Eurocorps, istituiti nel 1992 a partire da una iniziativa franco-tedesca. A questi, fecero seguito l’introduzione della Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) nel 1993 e, dieci anni dopo, della Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC). Di recente, altre iniziative rilevanti includono la creazione del Fondo Europeo per la Difesa per il periodo 2021-2027 con un budget di 7,9 miliardi, nonché i documenti declaratori comuni riconducibili alla Bussola Strategica del 2022 e alla Strategia Industriale della Difesa del 2024. Oggi, le condizioni sono cambiate, il recente disimpegno statunitense Nato stride con la ripetuta opposizione di Washington alla creazione di una difesa europea pienamente integrata in nome del Non-Duplication principle, specie in presenza di strutture già integrate (e guidate dagli Usa) a livello Nato”.

Pertanto non è da oggi che gli Usa si oppongono a un’Europa con un sistema di difesa autonomo perché sanno benissimo quali danni economici ne deriverebbe per le loro aziende del settore della difesa. Nel frattempo Macron fa un’importante dichiarazione politica mettendo a disposizione l’ombrello nucleare per la difesa comune europea. Insorgono i patrioti antifrancesi a cui pongo una domanda: ma qualcuno pensa che la Francia ci regali gli ordigni nucleari? Ricordo che abbiamo perso la seconda guerra mondiale, accordo di Cassibile, e siamo “uno Stato degli Usa” perché le bombe nucleari, circa una novantina, sono ad Aviano gestite in autonomia dall’aviazione Usa e a Ghedi dove sono gestite dalla coalizione e quindi anche trasportabili dalla nostra aviazione.

Cosa presuppone un esercito europeo con un sistema di difesa comune? Nessuna perdita di sovranità nazionale ma nell’ottica di integrazione ogni Stato fornirà “uomini e mezzi” complementari e integrati sotto un comando unificato a rotazione tra Paesi così come già avviene con la Nato e l’Onu. Mi pare ovvio che se la Francia offre il cappello di difesa nucleare un qualche ruolo e responsabilità specifica dovrà averlo, considerando che ha già dato disponibilità a condividere equipaggi multi nazione, ad esempio, sui sottomarini  a testata nucleare.

Il programma ReArm Eu è un primo passo importante per tutelare l’Europa. Ora bisogna stabilire le regole di spesa, le priorità di investimento individuando i nostri punti deboli del sistema difesa. Certo se i finanziamenti servono a comprare sistemi d’arma dagli USA come avviene ora per il 63% in Europa non cambia nulla ed è un favore a Trump. Se però guardiamo ai mezzi di difesa in Italia vediamo che la maggior parte dell’equipaggiamento è prodotto in Italia o in Europa. Serve una supply-chain unificata sviluppando una filiera di aziende europee per gli approvvigionamenti realizzando joint venture europee per ridurre i costi di ricerca, progettazione e produzione, unificare gli acquisti e far dialogare i sistemi d’arma. Molto si è già fatto e l’ultimo esempio è la costituzione di una Rti (Raggruppamento temporaneo d’impresa)  tra Leonardo e Rheinmetall (tedesca). 

Non serve aumentare l’organico, come vorrebbero alcuni, ma specializzare quello che abbiamo. Serve la cybersicurezza, l’AI, la difesa spaziale, i droni, su questo bisogna fare l’aggiornamento e nuovo sviluppo tecnologico, formazione continua. Non si parte dal nulla, l’industria della difesa in Europa esiste ed è consistente, tocca alla politica darle gambe, prospettiva e strategia. Non ci stiamo preparando alla terza guerra mondiale o a quella nucleare ma a fare in modo che l’Europa esista e sopravviva senza farsi schiacciare da Trump o Putin o tutte e due insieme. Purtroppo la politica nostrana si prepara, invece, all’ennesima figuraccia con la Presidente del Consiglio sdraiata su Trump è fuori dai giochi europei e quindi anche l’Italia. Ma non contribuisce nemmeno l’opposizione a dare dignità all’Italia con un PD nuovamente spaccato e la Segretaria che si prepara a votare anche contro, o astenersi, le indicazioni del gruppo europeo dei socialisti e democratici favorevoli a ReArm Europe. 

Torino nella prospettiva europea di sviluppo della difesa comune ha un ruolo fondamentale da giocarsi con le sue competenze, le professionalità umane, la conoscenza tecnologica, i suoi siti produttivi e di progettazione, quindi deve prepararsi ancora di più alle sfide del futuro, piacciano o meno, per un Europa sicura e futuribile per i nostri giovani. 

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