Il nuovo interventismo

Curioso, per non dire inquietante, come alcune fasi della Storia di ripetano con agghiacciante puntualità. I popoli alternano periodi di grandi speranze di libertà con epoche intrise di sentimenti nazionalistici: impulsi, questi ultimi, che inchiodano pericolosamente le genti dentro i loro confini (salvo espatri causa guerra).

Un’alternanza di eventi che si nutre dell’incapacità dei leader di imparare dagli errori del passato, nonché nella convinzione di alcune nazioni di essere migliori rispetto a tutte le altre e, quindi, degne dell’esclusiva nel pretendere rispetto. I sentimenti patriottico-nazionalistici sono inevitabilmente forieri di conflitti armati.

L’Europa, cento anni fa, si è trovata a un bivio, a dover scegliere tra una scelta sociale e la pericolosa strada del nazionalismo: la simpatia di alcune monarchie verso le dittature, e gli interventi repressivi da parte di molti governi repubblicani, hanno infine facilitato l’ascesa di fascismo e nazionalsocialismo.

Oggi, siamo di fronte a uno scenario già vissuto dagli europei del secolo scorso. Riappare, infatti, il bavaglio imposto alla stampa dalla propaganda governativa, tramite la diffusione di veline “sicure” che non ammettono alcuna replica. La verità di Stato si riaffaccia nelle società dell’Unione Europea (e non solo), nella soffocante veste dell’unica verità che può essere diffusa nelle case dei cittadini. Purtroppo, esattamente come 110 anni or sono, la stessa opinione pubblica sembra voler ripercorrere il clima politico che anticipò l’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale, dividendosi tra “interventisti e patrioti del Mondo libero” (coloro che andrebbero personalmente sul fronte a sparare ai russi) e non interventisti/pacifisti (traditori nei sentimenti, secondo la propaganda, poiché indicano la via della diplomazia quale strumento per far cessare il fuoco).

L’unica grande differenza, raffrontando gli eventi storci attuali con quelli avvenuti nel primo Novecento, è la scomparsa dei valori che hanno dato vita alla Sinistra europea. I partiti socialisti e comunisti un tempo sostenevano la causa dei lavoratori, del proletariato: produttori di plusvalore sfruttati, e carne da cannone allo scoppio dei conflitti. Gli eredi socialdemocratici di quelle grandi forze popolari, oggi, non sono spariti (a volte hanno in mano alcune istituzioni, seppur senza mai riuscire a differenziarsi dalla Destra) ma nella loro anima sono svaniti gli ideali a favore dei popoli, di tutti i popoli: la mutazione del partito operaio in una sorta di Sinistra liberale guidata da élite che non si mescolano con le classi sociali più basse.

Sarebbe stato impensabile, almeno sino a qualche anno addietro, proporre un pacchetto di riarmo come quello voluto dalla presidente Ursula von der Leyen, leader oramai in continuo eccesso di potere; non sarebbe stata immaginabile una tale, ostinata, propensione alla guerra da parte di forze che hanno sempre valutato la guerra come un vantaggio per pochi, e un dramma per tutti gli altri. 

Era cosa risaputa da almeno 20 anni che la Russia non avrebbe accettato un allargamento ad Est della Nato, eppure, malgrado patti e rassicurazioni varie, l’Alleanza atlantica è arrivata a lambire i confini di Mosca. Una guerra purtroppo annunciata, ma, al contrario, annunciare che siano in pericolo i Paesi confinanti con la Russia è niente più che un alibi per armare fino ai denti gli Stati europei.

La presidente della Commissione Europea, dai poteri oramai assoluti (tali da mettere in un angolo il Parlamento di Strasburgo) è fiera di aver presentato un progetto di riarmo dal valore di 800 mld di euro: una cifra enorme, che vale innumerevoli finanziarie italiane (l’ultima votata a Roma ammontava a “soli” 28 miliardi di euro), e con cui si potrebbe risanare il welfare di tutto il Vecchio Continente. 

Il dato che però dovrebbe indignare tutti i cittadini è l’autorizzazione, rivolta ai partner europei, di indebitarsi, senza limite alcuno, nel caso di spesa per l’acquisto di armi (in questo caso, nessun obbligo, quindi, al rispetto del patto di stabilità): licenza non consentita quando gli stati intervengono nel sociale e nella tutela dei diritti assoluti (sanità, scuola, welfare, sistema pensionistico, assunzioni nel Pubblico, e tanto altro).

Del resto, la nomina di Kaja Kallas quale Alto rappresentate negli affari esteri non poteva che essere la premessa di uno stato di guerra perenne con la Russia, e quanto sta accadendo in queste ore ne è la conferma. Svolta autocratica che non preoccupa una compagine di Sinistra pressoché spappolata, al cui interno si annoverano gli interventisti, militanti poco propensi a dialogare con coloro che invece non lo sono (definiti candidamente come “idioti utili a Putin”), e i convinti sostenitori della trattativa. Una divisione rabbiosa, intollerante, insofferente dove chiunque osi discostarsi dai valori atlantisti finisce nella cerchia dei traditori: una modalità di discussione già vista ai tempi del Covid, quando chi metteva in dubbio l’affidabilità della Pfizer veniva definito “untore”.

La cosiddetta realpolitik, vissuta come una servizievole accettazione dell’esistente, ha “costretto” il Pd, la Cgil, l’Anpi a scendere in piazza con Michele Serra nel nome dell’Europa non dei popoli, ma delle armi (con qualche distinguo qui e là). Buona parte della gauche riformista nostrana crede fortemente nel postulato “il nemico del mio nemico è un mio amico”, e considera lo scontro Trump- Zelensky come la sintesi dell’eterna lotta tra il Male e il Bene (il Bene di questi tempi è davvero difficile da individuare, specialmente quando si combatte una guerra). 

Gli organizzatori della manifestazione romana del 15 marzo prossimo non solo celebreranno il funerale della pace, ma daranno anche l’ultimo saluto alla Sinistra antisistema e antimilitarista nata nel dopoguerra, e rafforzatasi in seguito alle proteste del ’68. L’utopia di un mondo migliore sarà quindi sostituita dallo slogan “più armi per tutti”. Data che celebrerà il de profundis dei socialisti europei e, al contempo, la rinascita dei neonazisti: tante croci uncinate pronte a cavalcare il forte disagio sociale in cui vive buona parte della popolazione “governata” dalla lady di ferro Ursula von der Leyen. 

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