Papisti a intermittenza
Juri Bossuto 06:30 Giovedì 27 Marzo 2025
Papa Francesco dopo 38 giorni di ricovero è tornato in Vaticano, con un volto ancora sofferente che narra alle telecamere la dura battaglia combattuta dal suo fisico contro la polmonite bilaterale. Il Pontefice ha dovuto essere sottoposto alla ventilazione automatica, il cosiddetto “casco”, per far fronte alla spaventosa sensazione di mancanza d’aria derivante da una respirazione gravemente insufficiente: un respiro che inciampa letteralmente in gola, mentre le forze spariscono rendendo faticoso ogni movimento, così come la parola.
Il Santo Padre, dalla sua camera ospedaliera ha messo insieme tutta le sue energie residue per registrare, il 6 marzo scorso, un sofferente audio messaggio diretto ai fedeli in piazza San Pietro: la testimonianza diretta di una tenacia indistruttibile e, forse, anche un avvertimento a chi sperava in una nuova fumata bianca entro questa primavera.
In questi anni Papa Francesco ci ha abituato a encicliche dedicate all’inclusione, all’accoglienza di chi emigra per non morire di fame e di sete, e anche a parole dure verso coloro che alimentano la diseguaglianza, nonché l’ingiustizia, sociale. Purtroppo, temi importanti come l’autodeterminazione della donna, di cui è parte integrante lo stesso diritto all’aborto, delle coppie omosessuali e quello della libera scelta di ricorrere all’eutanasia rimangono fortemente “imprigionati” nelle celle della tradizione più conservatrice della Chiesa, ma la questione sociale ha sicuramente ricevuto un importante impulso durante il pontificato di Francesco (così come l’aspirazione alla Pace tra i popoli).
Le prime parole espresse in pubblico dal Papa, in uscita dal Policlinico Gemelli di Roma, sono state rivolte ai conflitti che insanguinano il pianeta: un sincero appello alla Pace; la speranza in lui mai sopita di poter porre fine ai morti sia in Palestina che sul fronte russo-ucraino. Seppur convalescente in seguito a una dura prova fisica, Francesco ha indirizzato il suo pensiero alla necessità di un mondo non infuocato dalle guerre: la fine dei bombardamenti, degli attacchi, delle stragi tra la popolazione inerme.
Appelli che in piazza San Pietro i fedeli ascoltano quasi tutte le domeniche, ma che non riescono a penetrare tra le mura dei palazzi del potere romano. La politica, infatti, raccoglie tra gli eletti in Parlamento (sia in quello nazionale che a Strasburgo) tantissimi cattolici praticanti, ossia donne e uomini che si dichiarano fedeli alla religione che vede il Santo Padre vicario di Cristo, e quindi rappresentante di Gesù sulla Terra: deputati e senatori pronti a contrastare in ogni sede l’attuazione della Legge 22 maggio 1978 n. 194 (Norme sull’interruzione volontaria della gravidanza), ma al contempo curiosamente sordi quando Papa Francesco invoca disperatamente la Pace.
L’ipocrisia, a quanto pare, regola la devozione di una buona parte del mondo politico nel rapportarsi con il Vaticano, e la genuflessione di fronte al Pontefice per molti è un semplice gesto a uso stampa: una posa davanti ai fotografi, anziché un atto di umiltà di fronte alla massima autorità spirituale della Chiesa cattolica. Un opportunistico inchino di riverenza a cui generalmente non segue alcun dialogo sugli argomenti cari al successore di Pietro, ad esclusione delle questioni utili per raccattare qualche consenso elettorale in più.
Gli interessi delle lobby hanno quindi la meglio sugli appelli del Papa per mettere fine alla conta dei morti a Gaza, oppure dei caduti nelle regioni russofoni dell’Ucraina, e il mercato delle armi impedisce, con tutti i mezzi a disposizione, il volo delle colombe bianche sui cieli sotto cui si combatte, e si muore. Non è infatti faticoso prendere la Comunione, a fine messa domenicale, mentre si medita come armare la parte sostenuta nel conflitto bellico di turno, oppure come giungere alla “giusta pace” a suon di artiglieria (giusta per chi e rispetto a quali parametri non è dato sapere). Allo stesso modo si può chiedere udienza a Papa Francesco pochi istanti dopo aver acconsentito che l’Europa spenda 800 miliardi in strumenti di guerra, naturalmente sottraendo quei fondi al welfare.
Le orecchie di molti deputati che si definiscono “fedeli e buoni praticanti” rifiutano spesso di udire parole quali “integrazione”, “solidarietà”, “accoglienza”, preferendo invece inaugurare Centri di Permanenza per il Rimpatrio, nonché sostenere le azioni di respingimento dirette ai migranti che attraversano il Mediterraneo con mezzi di fortuna: azioni in totale contrasto con il pensiero, e la volontà, dell’attuale Vicario della Chiesa cattolica.
La parola Pace è rilanciata da un Papa tenace che non si arrende ai tradimenti della politica, mentre i bombardamenti amplificano solamente le scelte dei leader che propugnano la causa della guerra, avvallate dal silenzio degli indifferenti. Ogni giorno muoiono bambini, madri, soldati in guerre combattute per soddisfare il business di pochi: cercare dialogo e sostenere il lavoro della diplomazia è un atto di coerenza per tutti i capi di governo che non intendano usare la “fede” esclusivamente come un utile bacino di consensi elettorali.