Torino da bere, torinesi a bocca asciutta
Juri Bossuto 06:00 Giovedì 03 Aprile 2025
Torino sta vivendo una stagione in cui è confusamente alla ricerca di una nuova identità. Terminata l’epoca della solidarietà di classe, la città operaia che al cambio turno si riversava in Fiat e anche in piazza per rivendicare i propri diritti, ora si dibatte tra l’essere una meta turistica e (purtroppo) la capitale dell’industria delle armi.
Lo stesso potere cittadino sta mutando pelle, modificando radicalmente il suo approccio su temi essenziali, quali la partecipazione, la trasparenza e la tutela dei beni comuni. Il percorso di redazione del nuovo Piano Regolatore torinese è la perfetta sintesi di un governo cittadino che “tira dritto”, senza mai abbandonare la strada tracciata dai grandi investitori internazionali: la scuola di Bloomberg ha insegnato, alla perfezione, come fare della partecipazione popolare una pura questione di immagine.
La pianificazione territoriale è stata sempre un punto importante di distinzione tra la visione urbanistica delle giunte cosiddette “rosse” e quella perseguita dagli esecutivi targati pentapartito, oppure (oggi) centrodestra. Le prime assegnavano la priorità ai servizi, al verde, alle aree di socializzazione. Personaggi come il professor Giovanni Astengo rappresentavano la politica che anteponeva i diritti dei torinesi agli interessi della speculazione edilizia. Una rivoluzione umanistica, negli anni ’70, sconvolgeva le antiche prassi, ossia quelle che consentivano (tra le altre nefandezze architettoniche) la costruzione di un palazzaccio moderno, con cemento a vista, di fronte all’antico Duomo di Torino: indelebile ricordo di anni dominati dai signori del mattone.
Il tramonto del Pci, partito dalle liste elettorali aperte agli operai, ha segnato la fine di un progetto politico, incanalando l’amministrazione pubblica verso il triste ritorno alla “normalità”. Una ricomparsa di quel passato dove i vincoli urbanistici ambientali erano rubricati alla voce “Inaccettabili sovrastrutture burocratiche”. Esattamente come negli anni ’50, la tutela dello skyline (spesso invocata da professionisti e cittadini) viene oggi intesa dal potere come il banale alibi di pochi nostalgici che si oppongono ai grattacieli, alla modernità. Palazzi che superano ampiamente l’altezza della Mole Antonelliana sono sorti in aree della città molto distanti tra loro, mentre i parcheggi pertinenziali hanno sconvolto per sempre numerose aree verdi, nonché il sottosuolo di importanti piazze storiche.
La deriva a favore del cemento oramai non risparmia neppure i grandi parchi cittadini. Numerosi progetti edili, infatti, interessano le aree verdi più importanti di Torino: dalle opere Pnrr avviate nel Parco del Meisino, al tentativo di rendere fisse le strutture commerciali che accompagnano le Atp in Piazza D’Armi; dai mega concerti al Parco della Confluenza sino alla costruzione di un nuovo ospedale nel Parco della Pellerina.
Il Parco della Pellerina è sicuramente l’area che sta subendo l’attacco più importante, tra quelli inferti ai polmoni verdi della città. La collocazione di un complesso ospedaliero, in quella che attualmente è l’area dei giostrai, avrà un impatto significativo poiché, oltre agli edifici, dovranno essere costruite infrastrutture, parcheggi e servizi. La struttura ospedaliera della Pellerina unirà l’ospedale Amedeo di Savoia (10 fabbricati su uno spazio di 30.000 mq) al Maria Vittoria, snodandosi su una superficie di almeno 75.000 mq.
Le motivazioni elencate per giustificare la scelta edificatoria, riportate recentemente nella risposta a un’interpellanza discussa in Consiglio regionale, sono in perfetta linea con il nuovo modello torinese: la “Torino da bere”. Nel documento viene ricordato come l’Amedeo di Savoia sia lambito, su buona parte del suo perimetro, dal fiume Dora Riparia, ma al contempo nel testo non si è fatto riferimento alcuno ai pericoli di esondazione che gravano nell’area del Parco della Pellerina: sito in cui si edificherà (forse) il nuovo centro ospedaliero.
Inoltre, nel medesimo atto, viene evidenziata anche l’impossibilità di ampliare gli edifici che compongono l’attuale struttura dedicata alle malattie infettive: immobili storici tutelati dalla Soprintendenza e quindi, secondo la risposta all’interpellanza, intoccabili. In realtà si tratta di supposizioni, illazioni, poiché con le dovute cautele progettuali altri ospedali “storici” in passato sono stati interessati da importanti opere di ristrutturazione. In una recente assemblea pubblica è emerso come lo stesso Amedeo di Savoia, tempo addietro, sia stato oggetto dell’autorizzazione della Soprintendenza in merito all’esecuzione di alcune costruzioni edili, e pare, inoltre, che una corposa relazione geologica, risalente all’anno 2007, non abbia effettivamente espresso riserve in merito ai rischi del terreno su cui si erige.
La risposta all’interpellanza, ad esclusione dei fattori idrogeologici, non fornisce quindi i dettagli delle ragioni per cui l’Amedeo di Savoia sia sottoposto a vincoli così stringenti: vincoli edificatori a cui non potranno quindi sottrarsi neanche gli speculatori immobiliari, desiderosi di trasformare la struttura sanitaria in appartamenti di lusso. Difficile, infine, comprendere uno spostamento dell’ospedale, motivato con il pericolo alluvionale dell’area in cui sorge da oltre un secolo, a favore di terreno interessato a sua volta da rischi di esondazione del vicino fiume.
La modernizzazione di Torino passa, a quanto pare, dall’attenzione che gli investitori, ma soprattutto gli speculatori, dedicheranno in futuro al capoluogo pedemontano. La Città della Salute libererà i terreni su cui si eleva l’ospedale Molinette, candidati a mutare in lotti edificabili sulle rive del Po, mentre il più grande parco cittadino, quello della Pellerina, verrà menomato consentendo in tal modo di destinare a uso di abitazione civile l’Amedeo di Savoia. Premesse di un epocale cambio di pelle per Torino: dalla città fabbrica, alla città delle ricche occasioni, seppur per pochi.