Riboldi studia un piano (sanitario) per salvare la ghirba dai tagli
Stefano Rizzi 07:00 Mercoledì 09 Aprile 2025L'assessore meloniano del Piemonte ne discute in incontri pubblici (solo) di partito, ma ancora si attende la bozza. L'attacco del Pd in Consiglio regionale. Irritazione tra gli alleati. Allarmano gli stretti limiti imposti dalla legge Balduzzi
Il futuro e, per ora, misteriosamente ignoto piano sanitario del Piemonte pare sempre più una questione di famiglia. Più precisamente roba da discutere tra Fratelli, d’Italia s’intende. E se il Godot della sanità piemontese, atteso invano per anni mentre si susseguivano amministrazioni di centrodestra e centrosinistra, parrebbe essere finalmente in procinto di palesarsi nelle circa duecento pagine di bozza, su cui aleggia lo spettro di possibili tagli imposti dalla legge, è sul modo di gestire questa gestazione e discuterne sul territorio da parte Federico Riboldi che si addensano critiche e polemiche.
L’assessore meloniano sta, infatti girando in lungo e in largo la regione, per annunciare il nuovo strumento di programmazione sanitaria, ma lo fa sotto il simbolo del suo partito. Gli incontri cui vengono invitati gli amministratori locali, come quello di domani ad Asti, sono organizzati dalle sezioni di FdI e gli inviti partono dai consiglieri regionali della stessa forza politica. Un atteggiamento che se offre il destro al Pd per dire, come ha fatto ieri a Palazzo Lascaris il consigliere Domenico Rossi che l’assessore e i meloniani “hanno una visione strumentale delle istituzioni, considerate al servizio del partito e non, come dovrebbe essere, il contrario”, pure tra gli alleati l’aria che tira non è delle migliori.
Quel “neppure noi lo abbiamo ancora visto”, bofonchiato dall’assessore leghista Matteo Marnati e riferito sempre al piano sanitario la dice lunga. E pensare che una parte della bozza parrebbe aver pescato non poco in quel dossier che il predecessore di Riboldi, Luigi Icardi ha sempre spiegato fosse lì pronto per diventare ciò che si aspetta da lustri. O forse anche per questo la Lega non si sbraccia a sostenere il fronte meloniano e rintuzzare gli attacchi che arrivano dal Pd e che potrebbero accentuarsi sui territori da parte dei sindaci di sinistra allorquando il piano sarà finalmente noto. Un accentramento nel ridotto meloniano, quello di Riboldi, distante anni luce dal modus operandi di un suo lontano predecessore, stessa parte politica e di fatto autore dell’ultimo piano sanitario. L’allora assessore Antonio D’Ambrosio, missino poi in Alleanza Nazionale, riuscì con un’operazione di diplomazia politica a portare i Ds a non votare contro, smorzando con la loro astensione eventuali tensioni.
Ma non è solo lo scontro politico a segnare l’attesa. Decisamente più preoccupanti sono gli aspetti tecnici e i vincoli con cui, per la prima volta nella storia della sanità piemontese, deve fare i conti lo strumento per la sua programmazione per gli anni a venire. La cornice che definisce e racchiude ciò di cui deve trattare il piano è la legge regionale 18 del 2007, ma è un’altra norma a preoccupare assai di più per gli stretti paletti che impone. Il decreto ministeriale 70 del 2015, più noto con il nome dell’allora ministro della Salute che ne fu l’artefice, Renato Balduzzi, fissa una serie di parametri che, nel caso della loro completa applicazione, porterebbero inevitabilmente a quella “riorganizzazione” della rete ospedaliera, che altro non sarebbe che una serie di tagli.
Già il Piemonte ne aveva subito un bel po’ con la famigerata delibera 1-600 attuata nel corso del piano di rientro, pagandone ancora oggi le conseguenze. Dai Pronto Soccorso alle emodinamiche, passando dai punti nascita ai piccoli ospedali, la mannaia di quella norma di dieci anni fa potrebbe calare pesantemente sul sistema sanitario piemontese. Probabile, quindi, che i tecnici ancora ieri fino a tarda sera alle prese con la bozza, abbiano cercato di realizzare l’ardua impresa di contemperare, un colpo al cerchio e uno alla botte, il rispetto quanto più possibile della legge Balduzzi con la necessità di mantenere tutti i servizi dentro quella stretta cornice.
Va detto che non tenere conto di quella norma, da molti ritenuta eccessivamente restrittiva e non più adeguata alle attuali esigenze, avrebbe tra gli effetti un abbassamento nella valutazione dei Lea, i livelli essenziali di assistenza, con la conseguenza di un taglio di qualcosa come 50 milioni all’anno del fondo sanitario destinato al Piemonte. Più che un piano, insomma, sembra la mappa di un sentiero stretto e disseminato di tagliole. Un terreno su cui muoversi con prudenza e senza enfasi. Le scivolate sono sempre in agguato, tanto più se si marcia al passo dell’oca.