ECONOMIA DOMESTICA

Le batterie lasciano a terra il Piemonte, Compagnia San Paolo perde 40 milioni

I sogni elettrici vanno di nuovo in corto circuito, sempre con gli svedesi di mezzo. Dopo il fiasco di Lars Calstrom e della sua Italvolt è la Northvolt ad andare gambe all'aria. La fondazione di corso Vittorio non ha fatto un grande investimento

Un altro sogno elettrico si spegne, e il Piemonte resta a terra. Dopo il fiasco di Lars Calstrom e della sua Italvolt, che prometteva di resuscitare l’ex Olivetti di Scarmagno senza avere un euro in tasca – salvo dichiarare bancarotta in un amen –, ci aveva pensato Northvolt a illudere tutti. La società svedese, con un torinese doc tra i fondatori, l’ex manger di Tesla Paolo Cerutti, sembrava avere le carte in regola per fare il botto: leader europeo delle batterie, argine alla Cina, un’espansione da capogiro. E invece, eccoci qui, con l’ennesimo tonfo che risuona fino agli uffici della Compagnia di San Paolo, che ci aveva buttato dentro 40 milioni di euro. Soldi in fumo, come il resto.

Northvolt era partita col vento in poppa. Round di finanziamenti a ripetizione, soci pesanti come Volkswagen (azionista al 21%), Bmw, Goldman Sachs, e pure realtà nostrane come Fondaco, la holding di gestione del risparmio partecipata dalla Compagnia di San Paolo e altre fondazioni. Il piano? Un mega stabilimento a Skellefteå, nel gelo svedese, e una rete di partnership per inondare il mercato di batterie. Troppo bello per essere vero, e infatti non lo era. Il 12 marzo scorso, la società ha dichiarato bancarotta in Svezia, un crac tra i più grossi della storia aziendale del Paese. Addio sogni di gloria europea contro i colossi cinesi. Il curatore fallimentare Mikael Kubu ha tirato fuori un accordo di massima con i creditori: operazioni ridotte, 1.700 dipendenti tenuti in Svezia e qualcuno nelle filiali estere. Da 5.000 lavoratori a un pugno di superstiti. “Positivo che si continui, almeno un po’”, dice Kubu. Ma è una magra consolazione.

Il disastro ha radici profonde. Northvolt non ce l’ha fatta a stare al passo con le richieste, tra consegne saltate e ritardi cronici. Colpa di un mercato, quello dell’auto elettrica, che all’epoca viveva un’ubriacatura collettiva: i big dell’automotive rivedevano le gamme, sognavano di sommergere le strade di veicoli BEV. Poi, il risveglio: vendite in picchiata, crisi dei produttori, e a cascata dei fornitori di batterie. Bmw, stufa di aspettare, aveva già cancellato una commessa da 2 miliardi. E i cinesi? Sempre lì, a fare il bello e il cattivo tempo, spesso in combutta con gli stessi europei – Volkswagen in testa. L’esposizione finanziaria, con debiti per oltre 5 miliardi di euro, ha dato il colpo di grazia.

Ora tocca al liquidatore giudiziario vendere i pezzi di Northvolt per racimolare qualcosa e placare i creditori. Un’operazione che sa di svendita, mentre a Torino si contano i danni. La Compagnia di San Paolo, che aveva scommesso forte, si lecca le ferite. E non è solo questione di soldi: c’è pure lo spettro di un’indagine della polizia di Stoccolma, partita dopo quattro morti “anomalie” tra i 6.000 dipendenti. Tossicità nei reparti? Chiusure in vista? Intanto, il Piemonte guarda l’ennesimo buco nell’acqua. Da Scarmagno a Skellefteå, la storia non cambia: grandi promesse, grandi flop. E i cinesi ringraziano.

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