FINANZA LOCALE

Regioni con l'Irpef sul collo: Piemonte rischia 90 milioni

Il mancato rialzo dell'addizionale regionale comporterebbe un salasso per le casse. C'è tempo fino al 2027, ma al grattacielo si ragiona su tempi più brevi (anche per non andare a ridosso delle elezioni). Possibile vincolo degli aumenti a favore della sanità

In ballo c’è un sacco di milioni e il rischio concreto per le Regioni di dovergli dire addio. Tutto dipenderà da come e in quali tempi metteranno mano ai nuovi scaglioni Irpef e, soprattutto, modificheranno al rialzo le addizionali che sono, appunto, di loro pertinenza. Alcune di queste, come l’Emilia-Romagna, l’Umbria e l’Abruzzo, hanno già stabilito di rendere più salate le aliquote salvaguardando quelle più basse. Altre, come il Piemonte, stanno ancor ragionando non tanto sul se, bensì sul quando. 

La legge prevede, infatti, che le Regioni possano adeguare gli scaglioni e, se lo ritengono, modificare le aliquote, dando loro tempo fino al 2027 con una serie di finestre intermedie. La prima sta di fatto per chiudersi essendo fissato il termine al 15 aprile, mentre la successiva è prevista a fine anno, un’altra nel 2026, fino all’ultima tra due anni. 

Nel caso in cui una giunta regionale decida di non fare nulla, sarà lo Stato a fine 2027 ad agire direttamente applicando i nuovi scaglioni con un effetto che, nel caso piemontese, produrrebbe una perdita per le casse regionali di non meno di 90 milioni rispetto a quello che introitano attualmente. Insomma, un argomento più convincente per far si da non arrivare alla fine senza aver predisposto quelle (contro)misure che, vista la situazione finanziaria del Piemonte, appaiono a dir poco obbligate.

Il ritocco, al rialzo, delle aliquote è dunque un passo obbligato, magari da compiere in tempo utile visto che la procedura impone l’adozione di una legge regionale. E pure guardando proprio cosa hanno già fatto altri enti analoghi. In Emilia-Romagna, per esempio, è stata fatta la scelta di ritoccare le aliquote a scaglioni vigenti in attesa di vedere cosa accadrà con quelli nuovi. Altre Regioni hanno già messo mano contemporaneamente a scaglioni e aliquote. Per tutte resta il tema degli aumenti che inevitabilmente ricadranno sulle tasche dei cittadini. Questione indubitabilmente spinosa che, nel caso del Piemonte, lascia supporre non si vorrà affrontare troppo avanti, quando si sarà più vicini alla fine della legislatura con tutto quel che ne potrebbe conseguire sul piano del consenso politico.

Sull’entità degli aumenti è ancora tutto da vedere, anche se già si sa che ci si dovrà muovere all’interno di alcuni paletti molto rigidi. Il primo scaglione, quello più basso per legge non può essere aumentato più dello 0,5 rispetto all’aliquota base, il che significa non oltrepassare l’1,73%. Gli altri tre, destinati a ridursi a due possono essere modificati, anche se il più alto nel caso del Piemonte è già al massimo consentito. 

In questo quadro che si va delineando sia pure con ancora notevole differenze di approccio sul tutto il territorio nazionale, entra come ampiamente prevedibile la principale voce di spesa delle Regioni, ovvero la sanità. Basti pensare che per quelle in piano di rientro l’aumento delle aliquote è imposto per legge, ma anche per quelle che non sono commissariate, ma ancora una volta come il Piemonte potrebbero rischiare di esserlo in futuro o comunque presentano pesanti difficoltà finanziarie sul fronte sanitario, l’eventualità di perdere una quantità importanti di risorse è scenario da scongiurare a tutti i costi.

Non è un caso che la già citata Emilia-Romagna abbia deciso di vincolare alla spesa sanitaria gli aumenti dell’addizionale. Un modo per rendere più accettabile per i cittadini quel maggiore esborso, spiegandone la sua destinazione. Una strada che, probabilmente, potrebbe seguire anche il Piemonte che lo scorso anno ha dovuto pescare da altri capitoli qualcosa come 150 milioni per cercare di raggiungere il pareggio di bilancio nei conti della sanità. Rischiare addirittura di perderne 90 sarebbe una follia.

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