Il dovere di difendersi

Una difesa comune europea ha delle parole chiave da cui partire per dare una visione del fare. Dissuadere un nemico da un’eventuale aggressione; deterrenza attraverso una perenne capacità evolutiva e tecnologica dei sistemi di difesa; autonomia difensiva per evitare il “kill switch”, staccare l’interruttore, attraverso il possesso dei dati, delle telecomunicazioni, della logistica. In tale contesto, assume rilevanza il quinto e nuovo dominio: il cyberspazio, dopo terra, mare, aria e spazio. Un  nuovo dominio per le operazioni di difesa e autonomia operativa. Èun principio che vale ancora di più per l’uso civile, se pensiamo che i telefoni cellulari, il sistema bancario e la meteorologia passa attraverso i satelliti e chi li controlla, gestendo anche solo l’hardware, può togliercene l’uso.

La sfida è epocale, e i conflitti in corso, a partire dall’invasione russa dell’Ucraina, sono solo l’evidenza concreta di una necessità non rinviabile: L’Europa deve costruire una sua autonoma capacità di difesa con alla sua base non il numero di carri armati, ma la proprietà della conoscenza e   della comunicazione. Il rischio vero è che la terza guerra mondiale si combatta nello spazio, senza uomini, accecando i satelliti. La Russia si sta muovendo in questo campo, la Cina non sta ferma; infatti ricordo che oltre alla Stazione Spaziale Internazionale ne esiste un’altra esclusivamente cinese, i cui esperimenti sono sconosciuti a tutti.

Nel campo spaziale Torino è baciata dal destino: il 18 maggio del 1988  cadde una pioggia di frammenti di meteorite. Uno, del peso di 800 grammi, precipitò proprio nel cortile di Alenia Spazio  (oggi Thales Alenia space). A parte i segnali venuti dal cielo, l’azienda di strada Antica di Collegno è protagonista in Europa e nel mondo con i maggiori partner nella progettazione e costruzione di sistemi satellitari a partire da Eutelsat, il secondo operatore satellitare al mondo. Sempre Thales ha fornito al Ministero della Difesa italiano 2 satelliti Sicral e Sicral 2; oltre a  Athena-Fidus pert elecomunicazioni militari e duali (civile-militare) per Francia e Italia. Da questo ruolo primario a fine 2019 presso lo Stato Maggiore della Difesa è stato costituito l'Ufficio Generale Spazio e nel 2020 il Comando delle Operazioni Spaziali che usufruisce dei satelliti militari italiani come, i già citati Sicral, Athena-Fidusoltre a COSMO-SkyMed e OPTSAT-3000. La copertura è dunque garantita, e abbiamo tempo per una costellazione di satelliti in orbita bassa realizzata in Europa attraverso l’Agenzia Spaziale Europea. Detto più chiaramente: l’Italia non ha bisogno di Starlink.

Purtroppo nel nostro Bel Paese vincono la demagogia e l’irrealtà politica, e bene ha fatto l’ex Presidente del Consiglio e  ex Commissario europeo all’economia Paolo Gentiloni a ricordarlo: “I miliardi sono 150 e non 800. Dove sono questi 800 miliardi? Sono 150 miliardi e tutti a prestito. 650 miliardi sono decisioni che i singoli Stati possono prendere. Ci vuole meno ipocrisia, evitare di dire che Von der Leyen sta definanziando gli ospedali per finanziare i carri armati. Non è così. Ora ci sono 150 miliardi di prestiti, un primo passo”.

La demagogia e il populismo a destra come a sinistra semplificano problemi complessi, però è diffusa l’idea che una difesa comune europea sia necessaria. Come? Spetta alla politica delinearlo e mi sembra che l’Europa con il Piano Readiness 2030 stia andando sulla strada giusta. Un segnale importante del Piano è relativo alla necessità di maggiore integrazione e cooperazione industriale. La sfida non è facile, dal momento che la frammentazione industriale rappresenta un freno all’efficienza. Negli Usa i principali progetti militari sono concentrati su dodici piattaforme, in Europa se ne contano oltre trenta. Inoltre siamo ancora troppo  dipendenti dagli USA. Secondo il Sipri, tra il 2020 e il 2024 i Paesi Nato europei hanno più che raddoppiato le importazioni di armi rispetto al periodo 2015-2019, e la quota degli Stati Uniti in questo mercato è salita al 53% accentuando il rischio di “kill switch” nei sistemi d’arma americani. Come sempre basta un piccolo software e si passa da autonomi a dipendenti, se non prigionieri.

Però non si parte da zero. L’Italia collabora per i mezzi di difesa terrestri con la tedesca Rheinmetall, per i droni con la turca Baykar, per il caccia di sesta generazione Gcap (Global Combat Air Program) con l’inglese BAe Systems e la giapponese Mitsubishi, dei satelliti abbiamo ampiamente detto. Infine Mbda (Matra-BAe Dynamics-Alenia), società missilistica europea, che ha la capacità produttiva per rispondere alla crescente domanda nel settore. Nel 2024 la produzione di missili è cresciuta del 33% rispetto al 2023, ed entro il 2025 il volume sarà raddoppiato. L’impresa sta inoltre sviluppando tecnologie di nuova generazione, come sistemi ipersonici e anti-ipersonici (si sarebbe evitata la strage di Sumy), sciami di droni e laser ad alta energia. Soluzioni pensate per rispondere alle minacce emergenti e garantire all’Europa una difesa sempre più autonoma ed efficace. Abbiamo quindi un’architettura industriale in ambito europeo e/o Nato come suggerisce il Piano Readiness 2030 per ridurre la frammentazione e la dipendenza dagli USA nel settore della difesa.

Naturalmente tutto questo sarà vanificato se nei prossimi giorni la Presidente del Consiglio accetterà di comprare sistemi d’arma dagli USA, in cambio di una riduzione dei dazi. Però, qualcuno glielo dica, non compreremmo sistemi d’arma USA, ma sistemi d’arma americani con altissima componentistica cinese. Infatti dal rapporto del centro di analisi per la Difesa e la Sicurezza di Arlington (Virginia), emerge la misura della penetrazione cinese nella catena di approvvigionamento della difesa statunitense e conclude che “la capacità produttiva interna è l’ombra avvizzita di quella che era in passato. Categorie industriali cruciali per la difesa nazionale degli Stati Uniti non vengono più costruite in nessuno dei 50 stati. Con soli 25 attacchi ben strutturati, utilizzando una varietà di mezzi, un pianificatore militare avversario potrebbe paralizzare gran parte dell’apparato manifatturiero americano per la produzione di armi avanzate”.Oltre il 40% dei semiconduttori che sostengono i sistemi d’arma statunitensi provengono dalla Cina. Dal 2005 al 2020, il numero di fornitori cinesi per l’industria della difesa statunitense è quadruplicato. Tra il 2014 e il 2022, la dipendenza americana dall’elettronica cinese è aumentata del 600%. Sempre secondo Govini, le più recenti portaerei di classe Ford degli Stati Uniti dipendono, per operare, da oltre 6.500 semiconduttori di origine cinese. Di conseguenza ogni volta che la Nato compra dagli USA sistemi d’arma aiuta l’economia cinese. Sarà un caso che la Cina a fronte della guerra dei dazi di Trump sta bloccando semiconduttori e terre rare? Serve subito una politica europea che, confermando l’alleanza atlantica, la renda paritaria e non subordinata tecnologicamente. Chi lo spiega ai “sovranisti antitaliani” della destra nostrana e europea? Oltre tutto è ampiamente dimostrato che abbiamo un’industria europea e nazionale della difesa, di cui molta parte a Torino, capace di stare sulla scena mondiale, secondi a nessuno.

 

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