PRIMO MAGGIO

Lavoro (e capitale) al centro dell'intelligenza artificiale

I cambiamenti che si annunciano nel rapporto tra lavoratori e imprese con l'introduzione dell'IA. Il rischio di un nuovo luddismo e le grandi opportunità per la crescita economica. Intervista all'economista Pammolli, alla guida di AI4Industry di Torino

“Bisogna dare centralità al lavoro, che diventa un elemento cardine della vita della persona. Se si ha questa stella polare, l’intelligenza artificiale è e resta un eccezionale strumento dalle capacità incommensurabili”. È un approccio che si direbbe, in qualche modo, filosofico quello con cui Fabio Pammolli affronta una questione centrale per il mondo del lavoro. Lontana da una certa retorica celebrativa ma, in realtà, vicina e immanente più di quanto non si possa immaginare. Ordinario di Economia e Management al Politecnico di Milano, classe 1965, consigliere del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, toscano di nascita e milanese di adozione, Pamolli giusto da un anno guida AI4Industry, il Centro nazionale per l’intelligenza artificiale che ha sede a Torino.

Fascinazione, speranze, timori, preoccupazioni. L’intelligenza artificiale, solo a parlarne, genera tutto questo e altro ancora che, guardando al mondo del lavoro, viene ulteriormente amplificato. Professore, che cosa ci si deve davvero attendere e, soprattutto, come ci si prepara a questa pervasiva nuova rivoluzione industriale? 
“I cambiamenti hanno sempre un elemento di incognita e di incertezza. Si guarda al nuovo con un’ambivalenza tra auspici e timori. Un po’ come capitava agli esploratori. Detto questo l’intelligenza artificiale ha un elemento di trasformazione nei processi di lavoro, ma deve essere accompagnato da una trasformazione dei modelli organizzativi. Questa è la vera sfida, anche per le imprese italiane”.

Per le imprese, ma anche per i governi, le parti sociali. Sfida ancor più ardua e complessa, non trova?
“Senza dubbio. Come modificare le relazioni di lavoro, il rapporto gerarchico, piuttosto che la valorizzazione delle professionalità? E ancora studiare quale tipo di welfare adeguato a queste nuove relazioni di lavoro. Se la guardiamo da questo punto di vista l’intelligenza artificiale diventa un’opportunità per una modernizzazione del nostro sistema produttivo e dei rapporti di lavoro. Dopodiché si tratta di capire che quando parliamo di intelligenza artificiale non parliamo solamente di chatGpt, ma di una trasformazione che si basa su cambiamenti tecnologici molto importanti e che è molto pervasiva nei processi di produzione”.

Con uno scenario del genere, va temuto o comunque previsto un nuovo luddismo?
“Per certi versi qualcuno potrebbe vedere l’intelligenza artificiale come la massima manifestazione delle capacità di astrazione del capitale e quindi dire che è un elemento che acuisce la tensione tra capitale e lavoro”.

Lei come vede questo rischio ipotetico?
“Io penso esattamente l’opposto. Credo sia un’opportunità per ridisegnare un’alleanza tra lavoro e impresa, che naturalmente va costruita, valorizzando la sussidiarietà, la contrattazione decentrata, gli elementi di produttività. Certamente, e questo è un punto molto importante, tutto ciò lo si può fare se diamo centralità a lavoro che diventa elemento cardine della vita della persona”.

Professor Pamolli, l’intelligenza artificiale ha tempi più che rapidissimi, l’economia e più ancora la politica segnano altre velocità. Siamo in ritardo o si riesce a tenere il passo per questa sfida?
“Abbiamo un sistema industriale, spesso criticato, perché fatto di piccole e medie imprese. Ma questo sistema è sottoposto ogni giorno alla concorrenza del mercato e chi fa impresa in questo contesto vivono esposti alle intemperie e quindi sono già preparati, addestrati. Insomma, quello che si pensa sia un sistema delle imprese molto lento, in realtà si sta muovendo. In alcuni casi con grande velocità, in altri meno. Ovviamente ci sarà selezione, ma non vedo alcun cataclisma, anzi”.

Giù l’introduzione dei robot pose dei problemi anche a livello di rapporti di lavoro, di contratti. Qui il cambiamento di prospetta enormemente più impattante. Quindi con problemi maggiori?
“La portata è quella di una rivoluzione industriale basata su questa grandi capacità di elaborazione distribuita dei dati”.

L’Italia è pronta o rischia di dover arrancare, su questo terreno, rispetto ad altri Paesi sostanzialmente simili sul piano industriale? 
“Bisogna saper dosare bene la grande capacità esplorativa del sistema industriale con qualche sforzo per la creazione di massa critica. In questo momento l’intersezione tra intelligenza artificiale e nuovi materiali è un frontiera importantissima per la ricerca, che richiede però dei centri e infrastrutture centralizzate. Il nostro è ancora un Paese che tende, invece, a frammentare. La sfida ulteriore, forse, è quella che ci viene dai modelli di Francia e Germania dove si stanno realizzando alcune grandi strutture di questo. Questo è un elemento, che nel grande scenario dell’intelligenza artificiale nel rapporto tra impresa e lavoro, richiede un’attenzione del decisore pubblico”. 

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