RETROSCENA

Lo Russo fa i conti senza l'oste.
L'ombra di Elly e Chiara sul bis

Il sindaco di Torino ostenta sicurezza sulla ricandidatura. Ma non è affatto scontata. Nel 2027 la tornata amministrativa interesserà tutte le grandi città e l'"ostinatamente unitaria" Schlein vuole l'accordo con Conte. E allora l'arcinemica Appendino...

Due anni in politica saranno pure un’era geologica – come si è affrettato a sottolineare lo stesso Stefano Lo Russo, attingendo dalla brodaglia dei più frusti cliché – però conviene farsi trovare preparati. Come dimostrano le manovre di questi giorni, il sindaco di Torino ha intenzione di bruciare i tempi e sottrarre terreno a quanti, non pochi persino nel Pd, potrebbero seminare ostacoli sulla strada della sua ricandidatura per un secondo mandato a Palazzo civico. In attesa di mettere a segno qualche risultato sul piano amministrativo che vada al di là dell’ordinaria (e ordinata) amministrazione, da spendere in termini di comunicazione, il piano si riduce al tatticismo elettorale: offrire, all’interno del perimetro classico della coalizione, un’offerta più composita e riconoscibile delle diverse anime (civiche e politiche), anche per evitare che il baricentro possa spostarsi troppo a sinistra.

Alleanza balenga

Per quanto balenga, l’operazione di esumazione di “Alleanza per Torino” va in quella direzione: raccattare qualche “figurina” pescata nella fumosa società civile, reclutare un paio di civil servant a partita Iva, sfoggiare un pugno di ggiovani di belle speranze e poi infarcire la lista di esponenti delle formazioni minori (da Azione a Italia Viva, da Demos a Più Europa, dai farmacisti del Monviso agli Ztlisti di Torino Domani). Siccome nessuno pensa che possa essere l’economista Pietro Garibaldi il federatore di queste realtà (infatti, dietro le quinte muove i fili Daniele Valle) si tratta di tirare avanti il più possibile con lo stratagemma del think tank, luogo in cui ci si spreme le meningi sul futuro della città. Non una grande pensata, ma tant’è. La vera incognita, però, è se tutto ciò sarà sufficiente non solo a far breccia nell’elettorato ma ancor prima a garantire a Lo Russo la ricandidatura.

Non candidare un sindaco uscente per un secondo mandato è a dir poco inusuale, con pochi precedenti: significherebbe ammettere che i cinque anni di governo sono stati un gigantesco buco nell’acqua, esponendo il centrosinistra a un serio rischio di sconfitta. Eppure, a dispetto dell’ostentata serenità del sindaco alle sue spalle se ne parla eccome. In ballo ci sono equilibri interni al Pd e prospettive nelle alleanze.

Riformista al Nazareno

Lo Russo che alle primarie ha sostenuto Stefano Bonaccini e nella geografia correntizia viene assegnato alla minoranza riformista, non ha certamente il profilo ideale per diventare l’alfiere del dialogo con il M5s. Pesano come un macigno vecchie ruggini, quando incalzava Chiara Appendino dai banchi dell’opposizione, al punto che l’ex sindaca fino all’ultimo ha tentato di impedirgli la candidatura blandendo gli emissari del Nazareno (Francesco Boccia e la Premiata Ditta specialista in sfracelli elettorali Taruffi & Baruffi) lasciando intendere che via lui sarebbe stata possibile l’intesa. Le cose sono andate come sappiamo, niente alleanza. Ma ora, con la prospettiva di costruire un’alternativa al Governo Meloni, è credibile che “l’ostinatamente unitaria” Elly Schlein tenti fino all’ultimo di stringere accordi con Giuseppe Conte in lungo e in largo della Penisola. Compreso a Torino, visto che il capoluogo piemontese che andrà alle urne con Milano, Roma, Napoli, Bologna e Venezia.

Trappola in campo (largo)

A quel punto, inevitabilmente, Lo Russo dovrà nuovamente fare i conti con Appendino da cui è facile prevedere un veto sul suo nome. Di fronte a una proposta di cambiare candidato, magari convergendo su una figura civica in cambio del “campo largo” sotto la Mole il Pd resterà inamovibile su Lo Russo? C’è chi nutre più di un dubbio. Cinismo e spregiudicatezza sono doti che non fanno difetto alla segretaria: decide all’ultimo, secondo la convenienza del momento, senza guardare in faccia nessuno, come si è visto ad esempio sulla presidenza dell’Anci. E, svelena un insider di Sant’Andrea delle Fratte, l’incarico assegnato a Lo Russo di “coordinatore dei sindaci del Pd” è poco più di una patacca: “Figuriamoci, manco sente i componenti della segreteria. Persino le sue groupie, Furfaro, Bonafoni, Corrado e Muroni, stanno un metro dietro al portavoce Flavio Alivernini. Pensa te se si confronta con Lo Russo”.

Rumors sulle alternative

Torino “caso” locale, sottratto dal tavolo nazionale? Anche rivendicare l’autonomia del territorio pare difficile, quando verosimilmente nello stesso giorno si andrà al voto anche per le politiche. È vero che pure alle regionali del 2024, falliti gli estenuanti tavoli di trattativa, Pd e M5s andarono ognun per sé, nonostante si votasse contemporaneamente per le Europee. Ma a Bruxelles dem e pentastellati siedono in gruppi diversi e inoltre sul piatto non c’era un ipotetico governo. Insomma, Lo Russo ha poco da star sereno. Non si balocchi troppo con la desistenza da parte del suo sodale di “concordia istituzionale”: purtroppo per lui Alberto Cirio non potrà fare molto. Così come non si illuda di essere l’unico in pista, nei pissi pissi della città qualche ipotesi alternativa già circola (chiedere al segretario della Cgil piemontese Giorgio Airaudo o alla vicepresidente del Senato Anna Rossomando, tanto per fare due nomi). E poi, l’ex rettore del Politecnico Guido Saracco, di cui fino al suo passo indietro si era parlato come possibile candidato sindaco del campo largo, è (politicamente) disoccupato.

print_icon