GENERAZIONE ZERO

I giovani hanno perso la speranza: oltre uno su due non vede futuro

Una generazione non più di "belle speranze". Prevale il pessimismo, pesa la mancanza di un "senso" dell'esistenza. La fotografia scattata dall'Università Cattolica in una ricerca su un campione tra i 18 e i 34 anni. "Occorre una bussola valoriale"

Giovani sempre meno fiduciosi nel futuro e nelle proprie capacità di costruirsene uno. Delusi dal mondo, ma con la voglia e la necessità di trovare un senso al vivere. È la fotografia a tinte fosche scattata da una ricerca realizzata dall’Università Cattolica per l’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, che ha esplorato il tema cui è dedicato il Giubileo 2025. “Università laboratorio di speranza”.

Alla base della ricerca, in primo luogo, una domanda: cosa intendono i giovani per “speranza”, in cosa la fanno consistere, dove e come ne fanno esperienza? A rispondere, tra il 17 febbraio e il 3 marzo 2025, un campione di 2001 giovani italiani tra i 18 e i 34 anni, secondo quote rappresentative di genere, età, titolo di studio, condizione lavorativa e area geografica di residenza.

Oltre alla serie di domande dirette al campione di ragazzi coinvolti, la ricerca utilizza una misurazione della speranza più articolata come la Scala integrata della Speranza, basata su quattro componenti: la percezione di Controllo e la competenza personale nel plasmare il proprio futuro (Personal Mastery); la percezione di avere Supporto dagli altri; la Fiducia in sé e negli altri; la Spiritualità. La componente che presenta punteggi medi più elevati è il Supporto, seguito dal Personal Mastery, dalla Fiducia e infine, dalla Spiritualità. Le prime due componenti mostrano un punteggio medio-alto, le ultime due medio -basso.

Dall'analisi dei dati emerge che la speranza è determinata soprattutto dall’aver trovato un significato al vivere, a seguire dalla soddisfazione dei bisogni psicologici di base (sentirsi competenti, sentirsi autonomi e sentire di avere relazioni significative), dalla religiosità e dalla ricerca di significato.

Più speranza al Nord-Ovest

Se consideriamo il sentirsi speranzoso/a in relazione all’area di residenza emerge che i più speranzosi sono le giovani e i giovani del Nord-Ovest, anche se le variazioni sono di pochissimi punti%: le giovani e i giovani che si dichiarano molto o moltissimo speranzosi sono il 47,6% nel Nord-Ovest, il 44% nel Nord -Est, il 45% al Centro e il 46,2% al Sud e isole. Se consideriamo le componenti della Speranza vedremo che il Nord-Ovest registra valori superiori in Fiducia rispetto al Sud e alle Isole (punteggi medi: Nord- Ovest: 2.94 – Sud e isole: 2.60; range della scala 1-5) mentre quest'ultima area si distingue per un livello di Spiritualità superiore rispetto al Centro e al Nord-Ovest (punteggi medi Sud e Isole: 2.76 – Nord-Ovest: 2.58; Centro: 2.54; range della scala: 1-5).

Scoraggiato chi non lavora

Si riscontrano differenze statisticamente significative in Personal Mastery, Supporto e Spiritualità tra chi lavora e chi non lavora: i lavoratori mostrano punteggi medi superiori rispetto a chi non lavora. Chi ha livelli più alti di speranza riporta un maggior benessere emotivo, sociale, e psicologico oltre a una maggiore soddisfazione di vita rispetto a chi ha livelli più bassi di speranza. La speranza – nello specifico le componenti di Personal Mastery, Supporto e Spiritualità - risulta più elevata tra coloro che attualmente svolgono attività di volontariato – sia continuativa sia saltuaria – rispetto a chi non l’ha mai praticato e rispetto a chi lo ha fatto solo in passato.

Delusi dal mondo

A spiegare cosa colpisce e preoccupa di più dai dati che emergono è la professoressa Elena Marta, ordinario di Psicologia sociale e di comunità all’Università Cattolica. “Colpisce il fatto che circa metà dei giovani, e soprattutto delle giovani, nutrano poca speranza proprio in una fase della vita che dovrebbe essere ricca di progettualità, sogni, voglia di futuro. Anche perché i dati ce lo mostrano chiaramente: avere speranza impatta sul benessere e sulla qualità della vita in generale", spiega la docente. “Fra i 18 e i 34 anni non si rilevano differenze sostanziali nella elaborazione dei dati – continua Marta –. Questi giovani sono delusi dal mondo e hanno una grande richiesta di poter trovare delle categorie di senso da applicare al vivere. Da questo punto di vista l’università offre molte possibilità di riuscire trovare una bussola valoriale”. La docente sottolinea poi con forza quanto gli adulti siano chiamati in causa nel ridare speranza ai giovani, quanto debbano offrire un dialogo e un'alleanza integenerazionale che sta venendo meno.

Senso di comunità

“Siamo sempre più focalizzati sulle famiglie, invece c’è molto bisogno di contesti comunitari. I dati dell'indagine ci dicono che è importante ricostruire quell’alleanza tra giovani e mondo adulto. Questi ragazzi cercano un confronto intergenerazionale e rimangono delusi. Bisogna invece ricostruire un patto fra le generazioni, partendo dal riconoscere i talenti dei ragazzi e proporre bussole valoriali, questo è responsabilità degli adulti”, aggiunge Elena Marta. “Una forte mancanza di speranza nel mondo e nel proprio futuro – spiega ancora – può impattare in maniera molto negativa sui ragazzi; impatta su qualità della vita e sul rapporto con il mondo. Può causare effetti anche in termini psicologici e già ne stiamo vedendo le conseguenze”.

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