Sinistra sociale, quante sono?

Come capita spesso nella politica contemporanea – sempre più fluida e disancorata dalle culture politiche – tutti si sentono autorizzati a rappresentare il tutto. Nello specifico, si legge qua e là che molti adesso pensano di essere gli interpreti più accreditati, se non addirittura esclusivi, della cosiddetta “sinistra sociale”.

Ora, pur senza pretendere – come ovvio e persin scontato – che la “sinistra sociale” di ispirazione cristiana appartenga a qualcuno a scapito di altri, è abbastanza evidente per chi non è in malafede o disonesto intellettualmente che nella storia democratica del nostro paese quando si parla di “sinistra sociale” di ispirazione cristiana il pensiero corre immediatamente a quella storica componente della Democrazia Cristiana. Componente che poi si è ritrovata, anche se in forma più sfumata e meno carismatica, in alcuni partiti che sono succeduti alla Dc stessa. Penso, in particolare, al Ppi e alla Margherita. “Sinistra sociale” che storicamente ha avuto alcuni leader indiscussi e riconosciuti per la loro autorevolezza politica, culturale, sociale e anche di governo. Giulio Pastore negli anni ‘50 e ‘60 e poi, e soprattutto, Carlo Donat-Cattin e infine Franco Marini. Senza dimenticare il ruolo importante e molto significativo di uomini come Guido Bodrato e Sandro Fontana. Oltre, come ovvio, a moltissimi dirigenti nazionali e locali che si sono riconosciuti in quel patrimonio politico e culturale e che hanno contribuito, nei decenni, a declinare quella sensibilità e quel filone di pensiero nella cittadella politica italiana.

Certo, è di tutta evidenza che si tratta di una presenza politica ed organizzativa che si è in parte esaurita con il tramonto di quelle formazioni politiche e di quei partiti. Ma è altrettanto indubbio che una cultura politica, un patrimonio ideale e un filone di pensiero non possono essere sacrificati sull’altare di un nuovismo che si dimostra sempre più inadeguato rispetto alle attese e alle domande che salgono dalla società italiana nelle sue multiformi espressioni. Perché se la “sinistra sociale” di ispirazione cristiana era nata, originariamente, per difendere e valorizzare i diritti dei lavoratori da un lato e migliorare le condizioni di vita dei ceti popolari dall’altro attraverso proposte mirate e specifiche all’interno dei rispettivi partiti per poi cercare di tradurle in atti parlamentari e in scelte di governo, è altrettanto vero che anche oggi – soprattutto oggi – quell’anelito sociale e politico non cessa di esistere. Anzi, proprio oggi sarebbe sempre più necessaria ed indispensabile riavere una “sinistra sociale” di ispirazione cristiana nelle dinamiche concrete della politica italiana, senza deviazioni massimaliste, senza scorciatoie populiste e, soprattutto, senza scivolare in quella demagogia qualunquista ed irresponsabile che caratterizza il comportamento di molte formazioni politiche quando parlano di tutto ciò che è riconducibile, seppur vagamente, al “sociale”. Al contempo, non si può non ricordare che chi pensa oggi di farsi interprete e promotore di una rinnovata ed attuale “sinistra sociale” non può esimersi dal compito di ambire anche a rappresentare un pezzo di società. Quel pezzo di società che rappresentavano, con autorevolezza e grande senso di responsabilità, i leader e gli statisti di quel movimento o di quella corrente. Appunto, Donat-Cattin, Marini, Bodrato e molti altri uomini e donne che ricavavano le munizioni ideali della loro azione politica e culturale dalla tradizione, dal pensiero e dalla storia del cattolicesimo sociale italiano.

Ecco perché non si può parlare disinvoltamente di “sinistra sociale” di ispirazione cristiana. E chi lo fa abbia almeno il buon gusto di riconoscere la carta di identità di quello storico segmento di impegno politico dei cattolici italiani.

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