La politica del "tacun"
Juri Bossuto 06:00 Giovedì 15 Maggio 2025
Le piogge di questi ultimi giorni svelano una Torino segreta, ricca di anfratti e voragini inquietanti. Lo strato di asfalto usato per mettere i “tacun”, in seguito ai maldestri lavori di riempimento degli scavi effettuati dai privati, sta cedendo alle piogge primaverili: la forza dell’acqua che invade le strade rivela innumerevoli buchi in cui affondano, drammaticamente, ruote e passanti.
Il capoluogo piemontese offre ai torinesi e ai visitatori una rete stradale simile a una fetta di groviera, poiché caratterizzata da un complesso susseguirsi di depressioni: dislivelli arditi che sovente si trasformano in pericolosi inciampi pure per i ciclisti. Le cuciture dei margini viari, sopravvissuti alla furia dello scavatore meccanico, vengono solitamente affidate a uno strato di bitume che, di norma, assolve chi scassa dai doveri del ripristino a regola d’arte. Lo stesso comune si affida al badile per sistemare strade ammalorate, e, spargendo un mucchietto di asfalto, il buco scompare sino alle prime potenti piogge.
La città sta vivendo un profondo periodo di crisi da cui non sembra trovare l’uscita. I fondi del PNRR avrebbero dovuto somministrare alcune salvifiche boccate di ossigeno all’agonizzante tessuto sociale cittadino, ma il sostanzioso contributo europeo, si raffigura purtroppo come una grande occasione mancata sotto diversi punti di vista. Un’opportunità persa sia a causa di un programma di interventi che ha escluso qualsiasi forma di partecipazione popolare, e sia per le specifiche scelte progettuali (raramente pensate guardando al futuro).
L’approccio della politica torinese verso i suoi cittadini è particolarmente bizzarro: tutto imperniato sulla ricerca del consenso, e mai sul reale ascolto delle persone. La Fondazione Bloomberg, da qualche mese sparita dalla cronaca cittadina, ha insegnato alla Giunta di Palazzo Civico un percorso partecipativo che si riassume nell’allestimento di banalissime vetrine pubbliche, ossia luoghi dove (in assenza di reale contradditorio) mettere in bella mostra quanto fatto dai “laboriosissimi” assessori (come dimostra l’iniziativa “Voci di quartiere”).
I cittadini coinvolti dai momenti di “costruzione partecipata” sono chiamati a mettere alcuni bollini colorati sulla mappa della Circoscrizione in cui risiedono, a seconda delle priorità di utilizzo collettivo che desiderano assegnare all’area, mentre in altre occasioni l’autorità comunale si è invece affidata alle forze dell’ordine per sgomberare torinesi impegnati nella difesa di un parco, di un bene comune oppure di un’importante alberata. Terminato il “rito dei bollini”, i fruitori dell’area mercatale di via Don Grioli, appena interessata da importanti lavori di riqualificazione (ennesimo cantiere avviato grazie al PNRR), hanno osservato allibiti gli innumerevoli “tacun” realizzati sul plateatico da poco “rimesso a nuovo” (affrontando una spesa di centinaia di migliaia di euro) e, sconsolati, si sono chiesti dove fossero politica e controlli.
A quanto pare, la partecipazione invocata dal compianto Giorgio Gaber è riservata quasi esclusivamente alle aggregazioni di cittadini che nascono in seguito all’arrivo di camper abitati da nomadi. L’ultimo in ordine di tempo si è dato appuntamento in un’assemblea pubblica serale a Mirafiori Nord, convocata per denunciare la presenza di un nuovo insediamento poco attento alla cura dell’area verde limitrofa (immondizia sparsa ovunque). Pronta la risposta dell’amministrazione: chiudere i Toret cosicché, togliendo loro l’acqua, i camper si spostino altrove.
A prescindere da chi siano gli autori di imbrattamenti, di atti vandalici a danno di aree verdi e strade, di attività non consentite a causa del nocumento provocato ad altri, l’autorità pubblica dovrebbe essere in grado di vigilare impedendo, in tal modo, il realizzarsi di situazioni non conformi al vivere civile, e, non ultimo, ai regolamenti comunali. È d’obbligo, per qualsiasi amministrazione, garantire la sicurezza pubblica e il rispetto verso la collettività, che include la cura del verde e delle strade: obiettivi che non si raggiungono certo chiudendo le fontane (politica del “Tacun”).
L’assenza delle istituzioni si misura contando i giardini diventati “terra di nessuno” e gli edifici vuoti, inutilizzati: un costante incremento delle zone abbandonate a cui corrisponde la crescente frustrazione dei cittadini (frustrazione sovente strumentalizzata dalla politica stessa).
Evidentemente, gli insegnamenti della Fondazione newyorkese non includono la sensibilizzazione degli amministratori pubblici nei confronti dei progetti di mediazione culturale, delle azioni orientate alla riappropriazione degli spazi collettivi, della realizzazione di percorsi di coesione sociale e di difesa dei servizi comunitari.
Chiudere l’acqua di una fontana pubblica, cosicché allontanare le famiglie nomadi, è come mettere un enorme “tacun” sull’asfalto, che la prima pioggia porta via: è l’ammissione della sconfitta totale di un potere cittadino che rinunciando al welfare ha scelto di appellarsi esclusivamente a soluzioni che negano i diritti di tutti (compressi quelli dei torinesi stessi).