Guerra per banche, tra Milano e Roma. E Torino resta a guardare
12:00 Martedì 03 Giugno 2025Da azioniste contano come il due picche: una (Compagnia di San Paolo) è tenuta al guinzaglio da Messina, l'altra (Crt) si barcamena tra gli interessi di Orcel e i voleri di Palazzo Chigi e del Mef. Breve cronaca di una caduta nell'irrilevanza, complice la politica
Torino, un tempo culla di poteri che intrecciavano banche, industria e politica, oggi è una comparsa muta, un’eco sbiadita in un risiko bancario che si gioca altrove, tra Milano, Roma e l’Europa. E così mentre Carlo Messina, il banchiere di sistema che guida Intesa Sanpaolo con mano salda e pugno di ferro, e Andrea Orcel, il “predatore” di Unicredit che morde e scuote i mercati come un lupo affamato, si affrontano a debita distanza, Torino sta a guardare, con le sue fondazioni – Compagnia di San Paolo e Crt – ridotte a spettatrici inermi, simbolo di una città che non conta più nulla.
Carlo V dominus incontrastato
Carlo Magno, l’imperatore di Intesa, a dispetto dei suoi natali romani sembra il classico piemontese falso e cortese, parla poco e incassa tanto. Al suo quinto mandato, guida una corazzata che macina utili come una pressa idraulica: 2,6 miliardi di euro nel primo trimestre 2025 (+13,6%), con previsioni di profitti oltre i 9 miliardi e un pacco di dividendi per gli azionisti. “Cresciamo senza bisogno di fare shopping”, sbandiera, con una stoccata velenosa a Orcel e al suo risiko forsennato. Dopo l’operazione Ubi nel 2020, Messina si è chiuso nel fortino: i vincoli antitrust bloccano nuove fusioni in Italia, ma lui non sembra rimpiangerlo. La sua strategia è crescita organica: wealth management, bancassicurazione e private banking, con 150 private banker arraffati alla concorrenza nel primo trimestre, sfruttando le incertezze altrui, e un occhio sempre puntato su Generali. “Se Orcel ci prova, lo chiamo e gli dico: fermati”, ha tuonato. Intesa è il suo regno, e lui il sovrano che non ha bisogno di guerre per vincere. Ma a Torino, chi se ne accorge?
Orcel, il gladiatore che ignora la Mole
Dall’altra parte, Andrea Orcel, il condottiero di Unicredit, è un tornado in giacca e cravatta. Ex Ubs, con l’istinto di un falco, ha trasformato la banca in una macchina da conquista: l’Ops su Banco Bpm, la scalata al 30% di Commerzbank, il 6,7% di Generali. Ogni mossa un terremoto, ogni dichiarazione un guanto di sfida. Palazzo Chigi prova a fermarlo con il golden power: “L’offerta era valida, ma i paletti la rendono antieconomica”, ha ringhiato Orcel, lasciando intendere di avere altri colpi in canna. Su Generali, smentisce mire espansionistiche – “Lo escludiamo” – ma il mercato resta scettico, specie dopo le tensioni sul piano Natixis di Generali, osteggiato da azionisti e governo. Lui guarda altrove, con un ghigno che sembra dire: “Torino? E dove sta?”. La Fondazione Crt, con il suo 1,8%, è poco più di un soprammobile polveroso: Orcel decide a Milano, sogna Francoforte e frequenta Londra, e di certo non perde tempo a passeggiare in via XX Settembre.
La Bella Addormentata senza principe
E poi c’è Torino, la regina scalzata, ridotta a un angolo buio del palcoscenico. Le sue fondazioni, un tempo pilastri del potere sabaudo in Italia, oggi sono comparse senza copione, a spartirsi fette di influenza nel cortile di casa. La Compagnia di San Paolo, con il 6,48% di Intesa, dovrebbe essere un gigante, ma è un nano con le gambe corte. Il presidente Marco Gilli, ex rettore del Politecnico voluto dal sindaco Pd Stefano Lo Russo, a cui deve gran parte della carriera universitaria e col quale ha condiviso viaggi in Russia e relazioni con Gazprom, è un’ombra senza carisma, una figura che non sposta una virgola. Il segretario generale Alberto Anfossi? Una brava persona, un onesto burocrate che però non lascia traccia, lontano anni luce dai grandi burattinai del passato. E che dire di Gian Maria Gros-Pietro, torinese doc e presidente praticamente a vita (85 anni, di cui venti al vertice di Intesa)? Un maggiordomo di lusso, spedito a tagliare nastri e partecipare a convegni mentre Messina comanda. Neppure i nuovi (e vecchi) membri del Cda indicati dalla Compagnia – come l’ambasciatrice Mariangela Zappia, ex capa di Gilli a Washington – toccano palla.
Non va meglio alla Fondazione Crt, che pur con l’1,8% in Piazza Gae Aulenti è poco più di una nota a piè di pagina. Anna Maria Poggi, l’arrembante giurista ciellina che ha conquistato Palazzo Perrone dopo il cataclisma – le dimissioni di Fabrizio Palenzona e le inchieste su un presunto patto occulto – non ha la forza e la sufficiente preparazione finanziaria per incidere sulle scelte di Orcel. Su tutte le principali partite (da Generali in giù) di volta in volta cerca di fiutare l’aria che tira e dove conviene, anzitutto a lei, posizionare Crt. Si barcamena tra gli interessi della banca conferitaria e i voleri del Governo, particolarmente sensibile alle alzate di sopracciglia del ministro Giancarlo Giorgetti. Le recenti nomine sono state tutte all’insegna del cerchiobottismo, andando a recuperare vecchie glorie del passato (dall’ex presidente Giovanni Quaglia a Franco Amato) e strizzando l’occhio alla politica in maniera il più possibile bipartisan. Improntata al quieto vivere e alla logica del “tinello di casa” è stata la scelta di Patrizia Polliotto per il ruolo di segretario generale. Dopo il breve e convulso interregno di Andrea Varese e il decennio di Massimo Lapucci l’arrivo in via XX Settembre della consorte dell’ex senatore berlusconiano (e “crosettiano” di ferro) Aldo Scarabosio ha lasciato un tantino interdetti, anzi letteralmente sbacaliti.
Un Risiko senza Torino
Messina e Orcel sono due mondi opposti. Il primo, il banchiere di sistema, protegge il fortino di Intesa con un mix di prudenza e lobbying, tenendo un piede a Roma e un occhio su Palazzo Chigi. Il secondo, il finanziere globale, gioca a scacchi su una scacchiera europea, fregandosene delle logiche locali. Intesa vince senza risiko, Unicredit lo cavalca con arroganza. E Torino? È la grande assente, una città che non ha più voce né peso. Le sue fondazioni sono reliquie di un’epoca d’oro, guidate da figure di seconda fila che non incidono: un esercito di comparse in un film dove i protagonisti sono altrove. Mentre Messina e Orcel si studiano, pronti a nuove mosse, Torino resta a guardare, malinconica, sognando i giorni in cui era lei a tirare i fili. Ma quei giorni, sotto la Mole, sono finiti da un pezzo.