LA SACRA RUOTA

Dalla Fiat a Stellantis, il lungo tradimento degli Agnelli

In un capitolo del suo ultimo libro, Bonazzi racconta gli avvenimenti del decennio che ha segnato la fine della grande fabbrica torinese, dalla marcia dei quarantamila all'addio di Ghidella, con il ruolo decisivo di Enrico Cuccia - ANTICIPAZIONE

Si intitola “Alto Tradimento” l’ultimo libro di Francesco Bonazzi, giornalista torinese autore di numerose inchieste, oggi firma de La Verità e di Panorama e tra i fondatori del Fatto Quotidiano. Il tradimento in questione è quello della famiglia Agnelli nei confronti dell’Italia e soprattutto della città di Torino, progressivamente abbandonata nel corso dei decenni con la complicità della politica – nazionale e locale – e delle istituzioni finanziarie. “Un ritratto senza censure della famiglia che molti considerano la vera dinastia reale italiana”, si legge nella quarta di copertina.

Il saggio di Bonazzi, edito da Aliberti, è disponibile in libreria da un paio di settimane. Nel quarto capitolo, intitolato “Quando ci siamo giocati l’auto”, viene raccontato un decennio cruciale della storia della Fiat, iniziato con la marcia dei quarantamila, proseguito con la chiusura del Lingotto e segnato dallo scontro tra i due manager Cesare Romiti e Vittorio Ghidella, dove la visione meno “autocentrica” e più orientata al business del primo ha avuto la meglio e ha portato all’esautorazione dell’ingegnere vercellese, con il benestare dell’Avvocato Agnelli. La fine della fabbrica parte da qui, e prosegue fino ai giorni nostri con le vicende di Stellantis guidata da John Elkann e il declino inarrestabile di Mirafiori. Di seguito un estratto del libro, tratto da questo capitolo.

I meravigliosi anni Ottanta (secondo Gianni Agnelli)

Quando la FIAT esce trionfante dalla dura battaglia del 1980 per la ristrutturazione delle sue fabbriche, al comando c'è un terzetto che visto con gli occhi di oggi è di livello quasi stellare. Il presidente è Gianni Agnelli, dotato di carisma ed entrature internazionali impareggiabili. L'amministratore delegato del Gruppo dal 1976 è Cesare Romiti, manager muscolare e ben introdotto nella Capitale, soprattutto appoggiato da Enrico Cuccia e dalle principali banche, nonché regista del rafforzamento della FIAT nella parte militare. L'auto è guidata dall'ingegnere vercellese Vittorio Ghidella, uno che passa metà giornata in fabbrica a provare personalmente i prototipi e gode della stima di tutto il mondo dei motori. La recessione mondiale tra il 1980 e il 1982, causata in buona parte dalla crisi petrolifera del 1979 a seguito della rivoluzione sciita in Iran, trova una FIAT che in Italia ha girato l'angolo, ma è ancora molto debole. Tra il 1980 e il 1983 il pIL italiano cresce del sei per cento e l'inflazione sta stabilmente sopra il venti per cento. La lira subisce subito due svalutazioni nel 1981 (sei per cento e otto per cento). Poi arriva un'altra svalutazione 1982 (6,72 per cento) e una quarta nel 1983 (4,88 per cento). In totale, la moneta italiana perde un quarto del proprio valore e questo naturalmente favorisce la concorrenzialità delle merci prodotte dal grandi esportatori italiani. Ma il rovescio della medaglia è che FIAT lavora in un contesto economico interno decisamente squilibrato ed economicamente poco sano.

Il bilancio del 1980, il primo consolidato nella storia della FIAT, chiude con 20.786 miliardi di fatturato e cinquantuno miliardi di utile netto. Un anno dopo, i ricavi sfiorano quota venticinquemila miliardi e l'utile raddoppia a novantasette miliardi. Il 1982 invece è un pessimo anno, con una perdita di settantanove miliardi, ma nei sette anni seguenti torna il segno più nei conti del Lingotto, fino ai 1.211 miliardi di utile del 1989. Una prima sintesi la lasciamo a Gianni Agnelli: «Meravigliosi anni Ottanta», disse poco tempo dopo. Certo, nel 1987 la FIAT sfonda i quarantamila miliardi di lire di fatturato e nel 1990 arriva a 57.200 miliardi. Nonostante gli ottimi risultati, i dipendenti vengono tagliati selvaggiamente, sempre con l'aiuto dello Stato e l’appoggio di quel che resta dei sindacati. Così si passa dai 320.000 nel 1980 ai 230.000 del 1986, salvo tornare a 277.000 nel 1988. Una ristrutturazione profonda, a cominciare dal cosiddetto capitale umano, che è il vero segreto dei «meravigliosi anni Ottanta» di Agnelli insieme alla svalutazione e al genio di Ghidella. Con lui al volante, FIAT Auto sforna nel 1980 la Panda, una nuova utilitaria, piazzata a metà tra la 126 e la 127 e nel 1983, con design di Giorgetto Giugiaro, ecco la Uno. L’anno dopo, arriva la berlina di lusso Lancia Thema e nel 1988 la FIAT Tipo. Con Ghidella, la FIAT diventa il primo costruttore in Europa e il quarto al mondo, mentre l'auto produce il settanta per cento degli utili. Non avverrà mai più negli anni seguenti, che la famiglia Agnelli dipenda così tanto dalla produzione di automobili, ma sarà bravissima a far credere il contrario mentre diversifica a più non posso.

In quegli stessi anni Romiti, che era già stato il regista dell'ingresso dei libici nel capitale, porta a termine il risanamento finanziario della FIAT e la rafforza. Anche ricorrendo a una serie di aumenti di capitale nel 1980, nel 1984 e nel 1986. Sempre di Romiti è l'idea di comprare il Corriere della Sera e la Rizzoli, quasi distrutti dalla gestione criminale della P2 di Licio Gelli. Poi, nel 1986, il governo guidato da Bettino Craxi, attraverso l'IRI di Romano Prodi, svende l'Alfa Romeo agli Agnelli, come si è visto nel secondo capitolo. Ma oltre al prezzo, Prodi commette un errore strategico incommensurabile: regala alla Real Casa torinese il monopolio assoluto sull’auto italiana. E ovviamente, per tutta la vita, gli Agnelli appoggeranno sempre la carriera politica di Prodi, fino a dargli l'onore della prima “cattedra Agnelli” all’università di Pechino, a fine 2024.

Tra le mosse più abili di Romiti, oltre al controllo dei giornali, c'è l'acquisizione di un forte comparto militare, che va ad aggiungersi a quello di IVECO. Nel 1983, FIAT prende il controllo della SNIA BPD Difesa-Spazio, acquistandolo dalla Montedison. La regia dell'operazione è della premiata ditta Cuccia-Romiti. Quello di BPD era un business terribilmente scivoloso e chi lavorava ai piani alti di corso Marconi, all'epoca, narra che Gianni  Agnelli non ne fosse per nulla entusiasta, specie dal punto di vista dei rischi reputazionali. Quando esplode Mani Pulite, nel 1992, si capisce anche perché: solo Romiti e il fidato Carlo Callieri sapevano muoversi tra mine antiuomo e altre diavolerie.

Il fatto è che in questi anni gli Agnelli si riorganizzano completamente. Nel 1987 viene costituita a Torino l'accomandita Giovanni Agnelli e soci, non quotata, alla quale viene conferito il settantacinque per cento dell'IRI, che a sua volta controlla FIAT. La Famiglia a metà anni Ottanta vale il quattro per cento del PIL italiano e le sue aziende pesano per circa un quarto della Borsa di Milano. L'impero spazia dalla Unicem a Gemina, dalla Sorin alla Toro Assicurazioni, passando perfino per la Rinascente. Significa che i profitti dell'auto cominciano stabilmente a essere investiti in altro. E intanto il ruolo di Romiti in Italia, grazie a giornali e a un Cuccia che fa smaccatamente più l'interesse dei suoi soci privati che non di quelli pubblici, è sempre più ingombrante. Bettino Craxi, che di muscoli s'intendeva, a un certo punto definisce Romiti «il Proconsole energumeno». Il clima da gioiosa macchina da guerra di corso Marconi al tempo dei Duran Duran s'interrompe bruscamente il 18 dicembre 1987, quando Gianni Agnelli ha la pessima idea di comunicare con quasi due anni di anticipo che il fratello Umberto prenderà il suo posto e Ghidella succederà a Romiti. Insomma, tutti in pensione. I dirigenti FIAT riuniti a Marentino, in campagna, per l'incontro di Natale, restano senza parole. «Era impossibile che Romiti non sapesse di quell'annuncio», ricorda uno di loro, «e conoscendo il tipo era facilmente immaginabile che avesse protestato. Se l'Avvocato è andato avanti lo stesso è perché ha pensato di forzare la mano». Ha commesso un errore? «Sì, un errore madornale. Avrebbe dovuto annunciare solo il passaggio di mano a Umberto, e poi lasciare a lui, in poche ore e a mercati chiusi, il compito di promuovere Ghidella». Romiti scatena una mezza guerra termonucleare, mentre Cuccia da via Filodrammatici manda a dire che la coppia Gianni-Cesarone non si tocca per nessun motivo. Ghidella, intanto, da alcuni mesi sussurrava all'orecchio del suo presidente che in vista della liberalizzazione del mercato nel 1992 la FIAT avrebbe dovuto trovarsi un alleato solido, per non farsi spazzare via dalle case giapponesi. Romiti, ovviamente, è contrarissimo e non fa che spiegare allo stesso Agnelli che il successo dell'auto del rivale Ghidella è effimero e bisogna continuare a diversificare prima che giri il vento. Soprattutto, per il Proconsole energumeno è inaccettabile l'idea che il rivale lo scavalchi e osi parlare di alleanze direttamente con Agnelli. Per parte sua, Ghidella si giustifica facendo notare che se il presidente e primo azionista del gruppo chiede al capo dell'auto quale sarà il futuro dell'auto è ben difficile limitarsi a parlare solo di marmitte e iniettori.

Per riaffermare i rapporti gerarchici, Romiti ricorre a un vecchio sistema FIAT, azienda che non a caso negli anni Sessanta aveva mutuato il sistema di gestione del personale e della sicurezza dall'Arma dei carabinieri. Ordina un’ispezione a tappeto sui fornitori di FIAT Auto e prima ancora che sia terminata, in tutta Torino gira già voce che Ghidella sia stato «beccato con le mani nella marmellata». Non è vero, perché aveva avuto interessi in un fornitore, la Roltra, ma aveva tagliato i legami prima di entrare a Mirafiori, tanto è vero che l'ispezione finale lo scagiona. Ma le voci vengono fatte girare con malignità, in un crescendo di calunnie e anche di lettere anonime, così l'ingegnere vercellese viene rosolato a dovere, con lo scontro che naturalmente arriva anche ai giornali. Giornali dove, tra lui e Romiti, era chiaro chi non toccava palla. Intanto, di settimana in settimana, Gianni Agnelli era sempre più amareggiato e sempre più pressato da Cuccia.

Il 30 settembre del 1988, Agnelli si arrende e fa dietrofront, annunciando che lui e Romiti restano. Ha ricevuto troppe pressioni e anche se stima Ghidella, capisce che in quella fase non può ancora fare a meno di Romiti. Il suo Proconsole ha in mano le chiavi della cassaforte e della politica, maneggia benissimo banche, giornali e partiti, e come non bastasse gli ha portato in casa una conglomerata un po' spaventosa come la BPD. Ghidella, al contrario, se dovesse andare via, svuoterebbe i cassetti in mezz'ora.

Due mesi dopo l'inversione a U del presidente, Ghidella, difeso solo da Umberto Agnelli, se ne va sbattendo la porta. Sono stati due mesi di inutili e sciocche smentite alle continue voci sul suo addio, che dovevano solo servire a fargli firmare le dimissioni. Alla fine, l'ufficio stampa FIAT racconta ai giornali una balla spa-ziale: Ghidella viene fatto fuori in quanto colpevole di «visione autocentrica», E un'altra accusa insensata, ma quasi tutti i giornali la prendono per buona. In pratica, l'ingenuo ingegnere vercellese pensava che alla FIAT si facessero automobili, invece si disegnavano le collezioni autunno-inverno per la Rinascente. Romiti, il non autocentrico, una volta eliminato il rivale si fa addirittura nominare anche amministratore delegato di FIAT Auto, giusto per non rischiare più.

Anche questa nomina conferma la grande debolezza e la mancanza di coraggio di Gianni Agnelli, distratto o impaurito da chissà cosa, o forse anche lui non più «autocentrico». In pochi mesi, oltre duecento dirigenti dell'auto cresciuti con Ghidella vengono gentilmente messi alla porta. Con loro spariscono delle competenze appassionate che in FIAT non torneranno più. Restano solo la finanza ei giochi di potere di Romiti e Cuccia, mentre Umberto a cinquantaquattro anni deve tornare in panchina come un ragazzino. Dopo Ghidella, Torino non è più in grado di sfornare nuovi modelli che piacciano veramente al mercato. Gli utili crollano, anche nel settore dei veicoli indu-striali. Romiti li affida a Giorgio Garuzzo, compresi trattori e scavatrici, mentre l'auto va a Paolo Cantarella. Sono due fedelissimi, ma a un certo punto farà fuori anche Garuzzo, che ai suoi occhi mostrava segni di "ghidellismo". Le guerre di corte, nel tardo impero del Proconsole Romiti, non finiscono mai. Un particolare curioso è che se oggi si va a leggere la lunga storia della FIAT sul sito istituzionale di Stellantis, non c'è una sola parola dedicata a Ghidella.

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