Referendum, la lezione di Donat-Cattin
Giorgio Merlo 15:50 Giovedì 05 Giugno 2025
Ragionando con Gianfranco Morgando in questi giorni sul destino politico dei cattolici nell’attuale contesto pubblico italiano, siamo arrivati a una conclusione pensando alle origini del nostro impegno politico tra le fila della sinistra sociale della Dc, la storica corrente di Carlo Donat-Cattin di via Stampatori a Torino. Mi diceva Morgando, e giustamente. “Ma ti immagini Donat-Cattin che resta zitto nel suo partito, o nel Governo, quando non condivide una proposta politica della segreteria nazionale o che abbassa la testa quando la sua cultura politica di riferimento viene emarginata? Si sarebbe ribellato con coraggio e con determinazione”.
Osservazione semplicemente sacrosanta perché oggettiva. Certo, personaggi alla Donat-Cattin non ne esistono più, i partiti contemporanei non sono paragonabili neanche lontanamente alla esperienza e alla prassi della Dc e, soprattutto, la politica oggi è ridotta a un banale e incolore spettacolo dove l’unico elemento che emerge è la criminalizzazione dell’avversario/nemico e la sua quotidiana delegittimazione morale e politica. Di conseguenza, nulla a che vedere con la politica con la P maiuscola della cosiddetta prima repubblica.
Ma un fatto, comunque sia, è indubbio. E lo traggo proprio dalla riflessione semplice, ma essenziale, di Morgando. Senza il coraggio delle proprie opinioni e, soprattutto, senza la volontà di ‘combattere’ politicamente all’interno del proprio partito per rimarcare le proprie ragioni culturali e politiche, il tutto si riduce a una stanca esaltazione di chi momentaneamente lo guida. Un atteggiamento penoso e che non merita alcun approfondimento o commento. Del resto, sono molti gli esempi che si potrebbero fare parlando proprio del concreto comportamento nei vari partiti sui prossimi referendum.
Ma il dato politico di fondo, per tornare alla riflessione iniziale, è uno solo. E cioè, se non si recupera quello spirito ‘combattivo’, nonché coerente, che ha caratterizzato il comportamento concreto di molti leader politici del passato, è la stessa politica che non esce dal cono d’ombra in cui è precipitata in questi ultimi anni. Perché la sua credibilità, per citare una bella riflessione di Norberto Bobbio coniata a metà degli anni ‘80, non passa attraverso “la democrazia dell’applauso” o, per usare una riflessione più recente, con l’investitura plebiscitaria del capo. Questi sono i partiti personali, cioè la sostanziale negazione della politica, che purtroppo oggi prosperano tanto a destra quanto a sinistra. Per quando riguarda i piccoli partiti del centro non meritano alcun commento perché sono quasi scientificamente e strutturalmente di natura personale.
Ecco perché avere, oggi, la capacità e il coraggio di praticare un vero confronto all’interno dei partiti è l’unica strada per riscoprire la politica da un lato e, al contempo, per cercare di rilanciare il ruolo dei partiti dall’altro. In ultimo, ma non per ordine di importanza, per salvaguardare ciò che resta della qualità della democrazia nel nostro paese. E il magistero politico dei grandi leader del passato, sotto questo versante, continua a essere di straordinaria attualità e modernità anche per il presente.