Astensione, "scelta democratica". Referendum e propaganda spiccia
Gioele Urso 07:00 Venerdì 06 Giugno 2025Gli inviti a non andare a votare sui quesiti dell'8 e 9 giugno si moltiplicano e la polemica si infiamma. Non andare alle urne non solo è legittimo ma in passato è stato adottato a fasi alterne per ragioni di convenienza politica. Parla il costituzionalista Cavino
Gli ultimi in ordine di tempo a scornarsi sulla questione sono stati due parlamentari piemontesi, Augusta Montaruli, la "pasionaria" di Fratelli d'Italia, e Marco Grimaldi, combattivo deputato di Avs. La prima ha detto che non andare a votare per i referendum dell’8 e 9 giugno è un diritto; l’altro le ha risposto che ha solamente paura. La polemica infiamma, il tema dell'astensione come scelta, imperversa nel dibattito politico e finisce inevitabilmente per intrecciarsi, rispetto alla sua legittimità, con il diritto. La domanda all'apparenza è banale, ovvero: è legittimo invitare i cittadini a non andare a votare?
“Sì, assolutamente". La risposta, chiara e netta, la dà Massimo Cavino, docente di Diritto costituzionale presso l’Università del Piemonte Orientale, autore di numerosi saggi e figura di accademico che non ha mai negato la sua profonda autonomia di giudizio. Non negando il suo orientamento ideale e politico suscitò un certo scalpore la posizione a favore proprio in occasione di un altro referendum, quello costituzionale proposto dall’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Dunque, professore, nessuna violazione, o comunque neppure una sbavatura costituzionale negli appelli all’astensione?
“Certamente sì. L’articolo 75 della Costituzione introduce una deroga al 48 che parla di dovere di voto. Il quorum è stato introdotto per evitare che un numero esiguo di votanti potesse compromettere la volontà legislativa del Parlamento. La scelta di non andare a votare per impedire che il referendum sia valido rappresenta una delle possibili opzioni che vengono offerte al cittadino. Tanto che già nel 1962 Costantino Mortati nelle edizioni delle Istituzioni di Diritto Pubblico spiegava in termini chiari che l’astensione è legittima”.
Il fatto che Giorgia Meloni abbia detto pubblicamente che non ritirerà le schede può essere considerato un tradimento della funzione pubblica? Non è una delegittimazione dello stesso istituto del voto?
“Anche fare propaganda per l’astensione è legittimo, proprio perché non si può immaginare che sia illegittima la propaganda di un’azione legittima. Ci sono delle ragioni di opportunità che potrebbero suggerire a chi riveste una carica pubblica di avere una moderazione rispetto a questi temi, ma ritengo che non si possa andare al di là di questo. Cosa diversa sarebbe se l’invito ad andare al mare venisse rivolto in occasione delle elezioni amministrative, politiche o del referendum costituzionale perché in quel caso non è previsto un quorum”.
Le materie oggetto di referendum sono davvero riformabili attraverso la consultazione popolare o vanno affrontate nelle aule parlamentari?
“Certamente la struttura dei quesiti è complessa, all’elettore viene chiesto uno sforzo importante, ma la Corte li ha ritenuti ammissibili e dunque sufficientemente chiari. Che siano materie sulle quali si possa chiedere un referendum è chiaro. Parlando dei referendum sul jobs act si tratta di quesiti sostanzialmente inutili perché quella norma è stata ampiamente smontata dalla giurisprudenza costituzionale. In sostanza gli effetti pratici sarebbero irrilevanti. Per quanto riguarda il quesito sulla cittadinanza, anche questa è una materia che richiederebbe poi un intervento legislativo per definire i dettagli. La vera partita in questo caso si gioca semplificando le procedure amministrative”.
L’Italia ha una storia di grandi referendum sui diritti civili, mentre adesso c’è un ricorso sempre più frequente a interventi di microchirurgia legislativa: che differenza c’è tra questi due approcci?
“Il referendum è stato uno strumento fondamentale di partecipazione democratica quando era molto forte la democrazia parlamentare. In quel caso diventava importante perché era uno strumento di correzione. Un segnale politico. Davanti a un Parlamento debole invece diventa uno strumento di propaganda spiccia perché non c'è nulla da correggere, come in questo caso: l’impressione è che sia una conta che si sta facendo all’interno di una parte politica per vedere se in futuro deve prevalere una posizione più massimalista o riformista”.
Racconta questo il caso del Piemonte dove la Cgil insieme ad altri ha promosso una consultazione popolare su un aspetto del sistema sanitario chiedendo l'abrogazione di una norma? Dopo l'annunciata modifica senza ricorrere al referendum, il segretario Giorgio Airaudo, ha detto di averne pronti altri.
“Ci muoviamo in una prospettiva diversa. Il referendum a livello regionale ha un’altra portata, per certi versi ha una sua logica e potrebbe essere più frequente l’uso. Se Airaudo dice questo vuol dire che la sua intenzione è quella di fare pressione politica e non di usare il singolo referendum per le specifiche finalità per le quali lo può immaginare. È evidente la strategia, vuol dire che non sta neanche immaginando che il Consiglio regionale possa fare il suo lavoro, ma che possa imporglielo. Siamo di fronte a una forzatura, ma ripeto sono logiche diverse”.
Tornando alla legittimità dell'invito a non votare, in passato l’appello in tal senso venne stato fatto anche dal centrosinistra, come nel caso di Sergio Cofferati nel 2003. Si invoca la legittimità a seconda della convenienza politica?
“Quando ci sono delle questioni che hanno una coloritura politica si tende anche a rinunciare alla dignità della propria professione e a piegarla a interessi di parte, è il caso di molti professori che in questi giorni stanno facendo dichiarazioni che non ripeterebbero dentro le aule in cui insegnano. Questa cosa mi amareggia perché dimostra che c’è una scarsa capacità di leggere le cose con un po’ di oggettività e tutto viene piegato a logiche che sono una tattica fatta di affermazioni di cortissimo respiro. Chi oggi dice che è illegittimo astenersi sarà pronto tra due o tre anni a invitare all’astensione, se sarà altrettanto comodo per la loro parte politica. Un’immagine un po’ triste del nostro Paese, ma è così”.