TARTASSATI

Da oggi si lavora (finalmente) per sé: scatta il Tax Freedom Day 2025

Quello che ci apprestiamo a trascorrere è il primo fine settimana liberi dalle tasse. Ieri è scoccato, ovviamente in linea puramente teorica, il giorno di liberazione fiscale. Italia tra le più tartassate in Ue. Ma troppi evasori, anche in Piemonte

Dopo 156 lunghi giorni, tra sabati, domeniche e sacrifici, è arrivato: il giorno della liberazione fiscale. Tradotto in soldoni, da oggi – almeno in teoria – gli italiani smettono di lavorare per lo Stato e iniziano a guadagnare per sé stessi. È il “Tax Freedom Day”, come lo chiamano negli Stati Uniti, e a stabilirlo è stata, come ogni anno, l’elaborazione dell’Ufficio studi della Cgia.

Un esercizio teorico, certo, ma che fotografa con estrema chiarezza il peso che il fisco esercita sulle spalle dei contribuenti italiani. Fino a ieri, 6 giugno, ogni euro guadagnato da un cittadino medio serviva per pagare Irpef, Ires, Irap, Iva, addizionali, contributi previdenziali, tributi locali e chi più ne ha più ne metta. Soldi indispensabili, si dirà, per finanziare sanità, scuola, trasporti, sicurezza. Ma non per questo meno pesanti. Da oggi e fino a fine anno, almeno sulla carta, il lavoro torna a essere per la propria famiglia, i propri risparmi, il proprio benessere. Una sorta di liberazione simbolica dopo cinque mesi di “servitù fiscale”.

Come si calcola il Tax Freedom Day?

Il metodo seguito dalla Cgia è lineare: si prende il Pil previsto per il 2025 – 2.256 miliardi di euro – lo si divide per i 365 giorni dell’anno e si ottiene una produzione giornaliera media pari a 6,2 miliardi. A fronte di ciò, si stimano entrate tributarie e contributive per 962,2 miliardi. Facendo i conti, servono appunto 156 giorni per pareggiare il conto col fisco: ed ecco spiegato il 6 giugno.

Berlusconi, meno tasse per tutti

Un salto indietro nel tempo mostra una fotografia chiara: il governo più “morbido” in termini fiscali degli ultimi 30 anni fu quello guidato da Silvio Berlusconi nel 2005, con una pressione fiscale scesa al 38,9% del Pil. All’estremo opposto, il record spetta al 2013, con Mario Monti e poi Enrico Letta alla guida dell’esecutivo: quell’anno il carico fiscale toccò il 43,4%.

Sale la pressione fiscale (ma solo un po’)

Nel Documento di Economia e Finanza 2025, il governo ha stimato una pressione fiscale al 42,7%, in leggera crescita (+0,1%) rispetto al 2024. Tuttavia, la Cgia precisa che questa rilevazione potrebbe essere sovrastimata. Infatti, la legge di Bilancio ha sostituito la decontribuzione per i lavoratori dipendenti con un nuovo mix di sconti Irpef e un bonus per i redditi più bassi. Poiché il bonus è considerato spesa e non riduzione di entrata, sfugge al calcolo della pressione fiscale. Se invece lo si conteggiasse, il dato reale scenderebbe al 42,5%, anticipando di un giorno il Tax Freedom Day.

Più tasse? Più o meno

Sebbene la pressione fiscale sia tornata a salire dal 2023, non si può dire che lo Stato abbia “alzato le tasse” nel senso tradizionale. L’aumento deriva in gran parte da misure economiche come la decontribuzione rafforzata nel 2024 e la revisione degli scaglioni Irpef. Nel 2025, per compensare la mancata decontribuzione, sono aumentate le detrazioni Irpef e introdotto un bonus esentasse fino a 20.000 euro di reddito. In più, il buon andamento delle entrate fiscali è stato sostenuto dalla crescita dei redditi da capitale e delle retribuzioni, grazie ai rinnovi contrattuali, agli arretrati nel pubblico impiego e all’aumento degli occupati. Una spinta positiva, che però ha anche alzato il gettito di Irpef e contributi.

Nuove imposte

Tra le nuove misure adottate dal governo figurano: l’incremento delle imposte su tabacchi, alcuni prodotti per l’infanzia e igiene femminile, nonché sulla rivalutazione di terreni e partecipazioni (2024). Per il 2025, si segnalano limiti alle detrazioni per i redditi elevati, tassazione sulle cripto-attività e tagli agli incentivi per ristrutturazioni edilizie e risparmio energetico. Tutto sommato, un impatto “insignificante” sulla pressione fiscale complessiva, secondo la Cgia.

Per chi evade, la liberazione non arriva mai

Naturalmente, il Tax Freedom Day non vale per tutti. C’è una fetta d’Italia che non conosce scadenze fiscali: è quella composta dagli evasori. Secondo l’Istat, nel 2022 erano quasi 2,5 milioni le persone che lavoravano in nero, come dipendenti irregolari o autonomi senza partita Iva. Il record assoluto spetta alla Lombardia (379.600), seguita da Lazio (319.400) e Campania (270.100). In termini percentuali, però, il primato è della Calabria, dove quasi un lavoratore su cinque (17%) è irregolare. La media nazionale si attesta al 9,7%. Sotto a tale media si colloca il Piemonte (8,3%) con 155.700 irregolari.

L’Italia tra i più tartassati d’Europa

Un altro dato che conferma quanto pesi il fisco in Italia arriva dal confronto europeo. Nel 2024, il nostro Paese era al sesto posto in Ue per pressione fiscale (42,6%). Peggio di noi solo Danimarca (45,4%), Francia (45,2%), Belgio (45,1%), Austria (44,8%) e Lussemburgo (43%). In questi Paesi, il Tax Freedom Day è arrivato ancora più tardi: 166 giorni in Danimarca, 165 in Francia e Belgio, 164 in Austria, 157 in Lussemburgo. La media europea si è fermata a 148 giorni, otto in meno rispetto all’Italia. In Germania sono stati 149 giorni, in Spagna appena 136: venti in meno rispetto ai nostri.

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